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il processo

“Rinascita”, la famiglia Mancuso tra certificati falsi, agenti infedeli e avvocati «alla sinistra del padre»

Controesame per il figlio di Pantaleone “l’Ingegnere”. Lungo il botta e risposta con il legale Raimondi

Pubblicato il: 15/04/2021 – 21:31
di Alessia Truzzolillo
“Rinascita”, la famiglia Mancuso tra certificati falsi, agenti infedeli e avvocati «alla sinistra del padre»

LAMEZIA TERME Nel corso dell’udienza del sette aprile scorso il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso aveva trattato temi scottanti riguardanti rapporti poco “ortodossi” che alcuni avvocati intrattenevano con la famiglia Mancuso. Tra questi anche l’avvocato Francesco Stilo, imputato nel processo Rinascita e difeso dall’avvocato Nunzio Raimondi che oggi ha controesaminato il collaboratore. Mancuso aveva raccontato che l’avvocato Stilo aveva portato a casa della sua famiglia, con la quale viveva, un fascicolo di indagine che lo riguardava, un’indagine della polizia nella quale c’erano decreti di intercettazione e materiale che avrebbe dovuto essere secretato. «Dove si trova quel fascicolo?», chiede Raimondi. «A distanza di oltre 10 anni sinceramente non ricordo dove lo abbiamo potuto mettere – risponde Mancuso –. Io ricordo di averlo letto un paio di volte e di avere avuto paura per l’imputazione (che era associazione mafiosa, ndr), poi non so che fine abbia fatto, se mio padre l’ha fatto circolare, se l’ha restituito all’avvocato… questo non lo so sinceramente perché mio padre comunque aveva rapporti con l’avvocato». «È stato rappresentato e difeso nel 2007 da Stilo?». «Sì, furono degli agenti penitenziari a dirmi di fargli la nomina su mandato di mio padre. Era un avvocato di famiglia», dice Mancuso. La nomina dell’avvocato poi venne revocata. Mancuso non sa perché visto che «a quanto ricordo le nomine non le gestivo io, le gestiva mio padre». «All’epoca – prosegue il collaboratore – anche se io avevo fatto la revoca, con l’avvocato c’erano ottimi rapporti, tant’è che lui mi portò un’istanza, con tutto che non c’era la nomina, che io presentai al gip/gup Capomolla e mi concesse l’obbligo di dimora con rientro notturno. Potete verificare che l’istanza è stata depositata dal sottoscritto».
Sul perché poi la nomina fosse stata revocata, Mancuso è secco: «L’ha nominato mio padre e l’ha revocato mio padre. Quello che mi diceva mio padre io dovevo fare».

Gli agenti infedeli

L’avvocato Raimondi a un certo punto chiede i nomi degli agenti di polizia penitenziaria che portarono a Emanuele Mancuso i desiderata del padre Pantaleone detto “l’ingegnere”.
«Se il pubblico ministero e il giudice mi dicono che io devo rispondere io rispondo», dice Mancuso. Ma su questo punto il sostituto procuratore Annamaria Frustaci afferma che nel verbale ci sono degli omissis. Il presidente del collegio, Brigida Cavasino, appoggia il fatto che «se il nominativo è coperto da segreto istruttorio la questione è insuperabile». In soldoni, niente nomi, c’è un’inchiesta in corso. Nunzio Raimondi non molla: «Sa perché suo padre fece revocare la nomina?». «Non conosco le dinamiche precise – dice Emanuele Mancuso – so di avvertimenti, ho già raccontato dei certificati falsi per i quali mi hanno fatto recitare una parte che non sapevo nemmeno recitare. Però gli accordi che c’erano con la cosca io all’epoca non li sapevo». «Io sapevo che l’avvocato Stilo era stato usato in quel periodo, in cui c’era mio zio Diego, fratello di mio padre, per attaccare il Tribunale: faceva ricusazioni tutti i giorni. Non so se poi si doveva defilare perché stava facendo un po’ di casino, non lo so». «Sono sue supposizioni?», chiede Raimondi. «Non sono mie supposizioni – afferma Mancuso – perché non è che Diego era difeso da Stilo così… Diego e mio padre sono la stessa cosa. Tutte le cose che riguardavano zio Diego ce le vedevamo noi. Quindi Stilo era gestito da noi».

I certificati falsi

Il controesame torna un po’ indietro, ai certificati falsi. «Ricordo che il dottor Petrino (si riferisce a Pietro D’ambrosio, ndr) che è un soggetto affiliato al clan Mancuso, nonché su moglie, la dottoressa Palmitesta, trovarono lo stratagemma, tramite l’avvocato Stilo e mio padre, affinché io venissi dichiarato incompatibile con il regime carcerario, anche se ero sano come un pesce. Stilo mi disse: “Recita, fai finta che stai male”». «Questi certificati falsi il dottor D’Ambrosio li faceva per lei o anche per altri?», chiede la difesa. «Operava per la cosca», dice Mancuso riferendosi a quanto aveva già dichiarato nel corso dell’esame dello scorso 7 aprile. «La certificazione riguardante l’incompatibilità l’ha scritta la dottoressa Palmitesta che è la moglie di Pietro D’Ambrosio, detto Petrino che faceva certificati falsi anche per Antonio Mancuso classe ’38. È stato lo stesso dottore a dirmi “non mi chiedere certificati falsi” – parlo del periodo 2011/12/13 – perché già ho avuto problemi con tuo zio Antonio». D’Ambrosio aveva in seguito chiesto di non chiedergli più certificati falsi perché aveva già avuto problemi con lo zio Antonio. «All’epoca, quando c’è stata la mia udienza di convalida l’avvocato Stilo mi disse: “Fai finta che stai male” perché dobbiamo fare una cosa con dei certificati. Io non sapevo nemmeno che parte recitare… perché ha presentato un certificato e si vedeva ad occhio che quello che ha certificato era completamente fasullo». «Per quanto riguarda mio zio Antonio, ho appreso dei certificati falsi da D’Ambrosio, per quanto riguarda il mio certificato falso – specifica Mancuso – l’ho appreso dall’avvocato Stilo che mi diceva che dovevo recitare. Io ero in carcere non potevo apprenderlo dal dottor D’Ambrosio». Gli affari proposti da Stilo.

Cene e pranzi con la famiglia Mancuso

«C’erano avvocati che restavano sul cancello e avvocati che venivano e mangiavano e si ubriacavano a casa nostra», racconta Emanuele Mancuso quando l’avvocato gli chiede notizie circa l’episodio degli investitori russi che Stilo voleva presentare a Pantaleone Mancuso detto l’Ingegnere, padre di Emanuele. «Quando venivano gli avvocati a mangiare casa nostra si sedevano a sinistra di mio padre e in quella occasione – che il collaboratore colloca temporalmente tra il ritorno da Roma e prima dell’operazione Black Money, tra il 2010 e il 2012 – ricordo che Stilo si è seduto a sinistra. E si misero a discutere di terreni per investimenti che dovevano fare soggetti russi, inglesi e di altre nazionalità. Mio padre gli disse di rivolgersi allo zio Antonio classe ’38 e a Pantaleone Mancuso detto “Vetrinetta”. Poi non sono andato a chiedere a loro circa i loro affari. So solo che il tema che aveva introdotto l’avvocato Stilo non era legale ma riguardava affari per i quali serviva il placet della cosca Mancuso».

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