REGGIO CALABRIA La Dda di Firenze torna a soffermarsi su una problematica già nota in regione: il traffico organizzato di rifiuti.
Sono in tutto 16 le persone indagate, nel filone d’inchiesta confluito nell’ordinanza firmata dal gip Antonella Zatini. Alcuni sono già noti agli inquirenti, com’è il caso del cutrese classe 63, Francesco Lerose, amministratore unico della “Lerose Srl” e della “Kyterion Srl” oltre che gestore dell’impianto di riciclaggio inerti di Pontedera. Insieme alla moglie, Annamaria Faragò, classe 73 e al figlio Manuel, classe 94, sono accusati di aver «fornito (all’associazione, ndr) un contributo decisivo al fine di commettere una serie indeterminata di delitti». Gli inquirenti li classificano in nove tipologie di condotta, distinte tra il “traffico organizzato di rifiuti” e l’“inquinamento ambientale”.
Tra gli indagati ritenuti organici all’associazione a delinquere ci sono Alessandro Francioni, presidente dell’associazione conciatori e membro del consorzio “Aquarno Spa”, ritenuto dagli inquirenti «promotore e capo» del sodalizio così come Piero Maccanti e Franco Donati. Il primo è stato direttore dell’associazione conciatori fino al 2018 e tutt’oggi membro del cdA dei consorzi “Sgs” e “Poteco”. Il secondo è invece ancora oggi membro del cdA dell’associazione conciatori (di cui era presidente prima di Francioni) e membro del comitato esecutivo di “Poteco”.
I loro nomi si legato a quelli di altri indagati: non soltanto i terreni, ma anche un pezzo della politica regionale sarebbe “inquinato”. La procura distrettuale guidata da Giuseppe Creazzo scrive infatti di «reiterate condotte di interferenza e pressione sull’azione della pubblica amministrazione». Sotto la lente ci sono la Regione Toscana, il Comune di Santa Croce, noto per le sue concerie, e l’Arpat.
Finiscono indagati a vario titolo per abuso d’ufficio e corruzione, in concorso coi soggetti summenzionati, Edo Bernini, classe 61, dirigente del settore Ambiente e Energia della Regione Toscana e il consigliere regionale del Partito Democratico Andrea Pieroni, classe 58. La procura indugia però sul profilo di Ledo Gori. Classe 55 e capo di Gabinetto del governatore della Regione Toscana, avrebbe «assecondato le richieste dei vertici del sodalizio criminoso in contrasto con le norme di trasparenza, correttezza e imparzialità» prodigandosi per far ottenere le dovute autorizzazioni e perpetuando le deroghe tabellari agli scarichi.
Una delle figure chiave dell’inchiesta è Francesco Lerose, 58enne originario della provincia di Crotone. Nell’ambito dell’operazione è destinatario della misura cautelare della custodia in carcere a fronte di «particolari esigenze» evidenziate dalla procura.
Insieme al figlio Manuel, si sarebbe occupato «della parte finale della filiera della gestione [illecita] del rifiuto “Keu” (certificato “ceneri pesanti e scorie”)» per attrarre illeciti guadagni.
In particolare, Francesco Lerose «esercitava un’attività caratterizzata dalla disinvolta capacità di utilizzare i suoi contatti per disfarsi del materiale conferito dal depuratore “Aquarno”». Un’attività intensa, né interrotta né affievolita dopo i primi controlli da parte delle autorità. «Anche i controlli e le iniziative degli inquirenti – si legge nella ricostruzione del gip – hanno anzi provato, negli indagati, reazioni volte a individuare sempre nuovi espedienti per continuare nelle attività delittuose già portate avanti, con la convinzione generale che tale modus procedendi sia l’unico soddisfacente in termini di profitto».
Il gip definisce anzi «allarmante» la capacità della “Lerose Srl” di estendere la propria attività «di cessione di materiale scadente» fino a raggiungere infrastrutture istituzionali quali l’aeroporto di Pisa, tanto da «comportare una contaminazione significativa dell’area interessata».
Ma non è solo questo. Le condotte scandite tra “traffico di rifiuti” e “inquinamento ambientale” che hanno come minimo comun denominatore le aziende riconducibili a Lerose, portano anche nella zona Bucine, contigua all’impianto gestito direttamente da Manuel Lerose sotto la supervisione del padre. Qui sarebbe da tempo «in atto una discarica incontrollata di rifiuti del genere più disparato».
Il tutto confluisce in una «attività di abusiva gestione di ingenti quantitativi di rifiuti derivanti dalla grigliatura e dissabbiatura dei fanghi di depurazione degli scarichi industriali delle concerie, abusivamente miscelati tra loro». Questi venivano inviati in discariche di rifiuti non pericolosi tramite la società “Tecnoambiente”. Inoltre, nell’impianto “Aquarno” veniva prodotto un materiale di scarto «a sua volta falsamente classificato e conferito in discarica rifiuti non pericolosi, accompagnato da formulari falsi» ovvero non attestanti l’incompatibilità tra il rifiuto e l’impianto presso cui veniva conferito. Per il triennio dal 2015 al 2017 si parla di circa 5mila tonnellate a cui vanno aggiunte altre 700 tonnellate del primo semestre del 2018 che la procura indica come momento dell’accertamento del reato. Nel periodo di riferimento, l’illecito profitto dell’associazione è stato quantificato in una cifra intorno ai 114mila euro.
Lerose, inoltre, si interessa anche del «traffico organizzato delle ceneri prodotte dal trattamento termico dei fanghi di depurazione nell’impianto Ex ecoespanso» che venivano inviati abusivamente all’impianto gestito dalla famiglia o a terzi «per il recupero in aggregati riciclati non legati, non avendone le qualità ambientali per contaminazione e per pericolo di inquinamento delle matrici ambientali». Un’attività abusiva sofisticata, fruttata agli indagati un profitto di oltre 7 milioni di euro di cui 2,5 finiti nelle casse della “Lerose Srl” come compenso erogato ai suoi titolari da “Aquarno” tra il 2012 e il 2018.
Dalle indagini emerge inoltre che l’attività abusiva consisteva anche «nella movimentazione e nel trasporto dei rifiuti stoccati nell’area della discarica realizzata nei pressi dell’impianto “Lerose srl” verso vari cantieri e soggetti terzi che ne facevano richiesta e che «venivano rassicurati sulla conformità del materiale ai limiti di concentrazione di inquinanti stabiliti dalla legge».
In altri casi, Francesco Lerose, attraverso la sua società, avrebbe «creato un’artificiosa fatturazione per operazioni inesistenti» attraverso cui ottenere disponibilità economiche per finanziare la cosca Grande Aracri di Cutro e al contempo avrebbe occultato, «smaltendoli illecitamente, i rifiuti stoccati nell’impianto di Pontedera». Sono diversi i siti interessati tra aziende agricole, cantieri e note località della regione. Tra questi spicca il cantiere della Strada Regionale 429, con specifico riguardo al V lotto Valdelsa-Empoli (in località Brusciana).
La vicenda già oggetto delle indagini di carabinieri forestali e Ros dimostrerebbe «la capacità di Lerose di intrattenere rapporti economici significativi con soggetti privi a loro volta di scrupoli nella gestione abusiva dei rifiuti». Benché consapevoli della qualità dei materiali offerti, questi si rivolgevano a Lerose, «per via dei prezzi di favore» da lui praticati.
Emergerebbe inoltre «la circostanza aggravante del comportamento mafioso» legata a condotte estorsive. Di fatti, nel separato procedimento era stato documentato come l’atteggiamento di Lerose, per giungere a un accordo con Nicola Verdiglione, per la fornitura del materiale, denotasse «una singolare assenza di scrupoli» tradotta nella facilità di ricorrere ad atteggiamenti minacciosi. «L’indagato, manifestando un apparente atteggiamento di amicizia nei confronti di Ferraro, di fatto agevolava occultamente le manovre di estromissione violenta di quest’ultimo dal cantiere della Sr429». Va precisato che Nicola Verdiglione, non indagato nell’odierno procedimento, è il principale collaboratore di Graziando Cantini, impresario e vertice della storica “Cantini Marino Srl” di Vicchio, in provincia di Firenze. Secondo gli inquirenti sarebbero stati direttamente collegati al clan di ‘ndrangheta Gallace, motivo che avrebbe loro permesso di «imporsi sul mercato del movimento terra e della fornitura di inerti a discapito di aziende concorrenti, infiltrandosi in importanti commesse pubbliche in Toscana», quale appunto il subappalto per la realizzazione della strada.
Ne emerge un quadro allarmante: nei rilevati della Sr429 sarebbero state smaltite circa circa 8mila tonnellate di rifiuti contaminati «a prezzo vile o simbolico» per un totale di circa 200 trasporti effettuati a marzo 2019 in favore della “Cantini”, definita «impresa controllata e gestita dalla cosca alleata a Grande Aracri, i Gallace-Arena, che impiegava il rifiuto contaminato quale sottofondo o rilevato nella realizzazione del tracciato viario in corso di realizzazione».
Per consentire il funzionamento del sistema, i presunti vertici del sodalizio avevano «aggregato nel loro programma» alcuni esponenti della pubblica amministrazione. Edo Bernini, direttore della Direzione Ambiente ed energia della Regione Toscana avrebbe «intenzionalmente procurato un ingiusto profitto al Consorzio Aquarano» fornendo «una copertura autorizzativa delle attività di gestione illecita» avendo rilasciato o fatto rilasciare «atti autorizzativi illegittimi».
Nel frattempo, la cosca «prometteva denaro e altre utilità» al consigliere regionale toscano Andrea Pieroni, «per compiere atti contrari ai suoi doveri d’ufficio». La somma accettata dal politico sarebbe stata di circa 2-3mila euro, come riferito il 7 agosto 2020 da Aldo Gliozzi, ritenuto parte dell’associazione e tra gli odierni indagati. In cambio, scrivono gli inquirenti, «faceva approvare un emendamento alla legge regionale 20 del 2006 di cui non conosceva e comprendeva neanche il contenuto» redatto dal consulente del Consorzio.
«Specifiche utilità di carriera» erano invece state promesse a Ledo Gori, allora capo di Gabinetto del governatore uscente Enrico Rossi «e quindi con contratto dirigenziale in scadenza». Gli associati avrebbero di fatto promesso a Gori che sarebbe stato riconfermato nel suo incarico dirigenziale anche col nuovo presidente eletto. La conferma della nomina arriverà il giorno dopo l’elezione di Eugenio Giani, fatto – va specificato – non per forza legato ad una volontà imposta dall’esterno. Secondo la procura, il motivo potrebbe ritrovarsi nell’attitudine del dirigente di «assecondare tutte le richieste dei vertici del sodalizio in materia ambientale» permettendogli così di beneficiare di deroghe o esclusioni e intermediando per l’erogazione di finanziamenti a fondo perduto al Consorzio. Una lunga lista di atti e condotte che secondo la procura si sarebbero protratte «da una data imprecisata» comunque «in epoca successiva e prossima al 2010, da quando il pubblico ufficiale ha rivestito la carica di capo di gabinetto». (redazione@corrierecal.it)
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