CATANZARO C’è un’espressione inglese – don’t stir the hornet’s nest, letteralmente “non agitare un nido di vespe” – che sconsiglia di toccare i nervi scoperti del potere. A Nicola Gratteri non interessa affatto andarci leggero: «Sono un provocatore nato, sono uno scostumato. Non mi interessa se il potere si arrabbia: mi piace, mi eccita». È così che il procuratore di Catanzaro chiude l’intervista con Seth Doan che attraversa lo speciale della Cbs sulla ‘ndrangheta, ospitato nel programma “60 Minutes +”. Le risposte del magistrato aiutano a comprendere il contesto. E anche il periodo delicatissimo che la Dda di Catanzaro affronta. «C’è molta gente che la vorrebbe morto…», chiede il reporter. «Sì, tantissimi. Soprattutto i potenti». In questa lotta contro una mafia che si è fatta sistema non mancano momenti che descrivono l’intimità del procuratore. Gratteri mangia in ufficio tutti i giorni, poi, alla guida della sua auto blindata, si sposta velocemente. Così velocemente che l’inviato della Cbs non può non chiederne le ragioni. «Mai stare fermi perché altrimenti si è un bersaglio fisso». Infila sorpassi e parole: «Stiamo preparando la terra per le piante estive, come peperoni, melanzane, pomodori, lattughe. La terra è il mio psichiatra, mi aiuta a vivere e mi scarica la tensione».
Scaricare la tensione è inevitabile quando si è nel mirino da 30 anni. Ancora domande e risposte. «È sorpreso di essere ancora vivo, nonostante la battaglia alla criminalità organizzata?». «Certe volte sì, sono fortunato». «Ma lo dice con il sorriso», nota l’intervistatore. «Sono allenato a parlare anche con la morte – Gratteri ribadisce un concetto già espresso. Ci penso sempre, ma per me si può continuare a vivere soltanto così, perché vivere da vigliacco non ha senso. Sono un obiettivo dal 1989, quando hanno sparato a casa della mia fidanzata e poi le hanno chiamato alle 2 di notte dicendole che avrebbe sposato un uomo morto». Intanto nell’aula bunker di Lamezia Terme va un scena uno dei processi più importanti di sempre contro la criminalità organizzata, Rinascita Scott. E la Cbs sottolinea che si tratta di un procedimento contro «quello che Gratteri definisce il più potente clan del mondo. È una mafia più estesa, più forte e più pericolosa di Cosa nostra: nell’inchiesta sono 32 i Paesi coinvolti».
Una mafia che il magistrato conosce bene: «Durante la mia gioventù ho conosciuto tanti ‘ndranghetisti. Conosco bene la mentalità, la filosofia criminale. Il territorio, tutto ciò che tu vedi, è loro, non è tuo. Ci sono paesi in cui la ‘ndrangheta controlla il respiro, il battito cardiaco del territorio, controlla tutto. E quindi o ti assoggetti a quella legge o ti uccidono».
Le telecamere della Cbs documentano un blitz condotto dagli investigatori coordinati dalla Dda di Catanzaro; mostrano le strade di un piccolo centro calabrese e un bunker ricavato all’interno di un bagno. «La ‘ndrangheta è meno telegenica, più understatement. Quando pensi alla mafia pensi subito al Padrino, non credo ci sia un film o uno show televisivo che rappresenti la ‘ndrangheta», dice Antonio Nicaso, docente e coautore di alcuni dei libri più celebri scritti sul fenomeno ‘ndranghetista proprio assieme a Gratteri. «Il problema – continua –, con la ‘ndrangheta, è che unisce “il mondo di sopra” della politica, dell’impresa, con il “mondo di sotto” dei criminali. Non combatti soltanto criminali, ma un sistema di potere, un network criminale che include politici, pezzi deviati delle forze dell’ordine, professionisti». «Il rapporto politica-mafia c’è da prima dell’Unità d’Italia – continua idealmente Gratteri –. Se la politica volesse, potrebbe sconfiggere le mafie».
«La nuova generazione di ‘ndranghetisti ha studiato per diversificare il core business dell’organizzazione – spiega ancora Nicaso –. Negli anni 80, quando Cosa nostra attaccò lo Stato in Italia, la ‘ndrangheta ha tenuto un profilo basso e investito i ricavi dei rapimento nel traffico di droga». Un business che negli anni, spiega l’inviato, «è cresciuto fino a una stima di ricavi per oltre 50 miliardi di dollari, più di Starbucks e Mac Donald’s messi insieme». Le immagini staccano sul porto di Gioia Tauro, un altro dei fronti della lotta ai clan calabresi. «Il Paese più attenzionato per i traffici, in questo momento, è il Brasile», spiega Giuseppe Silvestro del nucleo antifrode del Porto. Gli scanner sono in funzione tra le banchine e «restituiscono un dubbio che qualcosa non va per il verso giusto. Poi si passa al controllo fisico». Il guaio è che per migliaia di container si fanno controlli soltanto su un campione del 10%. «È davvero difficile per noi, cambiano continuamente sistema», spiega il colonnello della Guardia di finanza Giampiero Carrieri. Nelle stanze di sicurezza ci sono decine di borsoni carichi di cocaina. All’interno, ci sono pacchetti da un chilogrammo, del valore – sul mercato – di circa 250mila dollari. Nelle stanze blindate e sorvegliate dai militari c’è coca per circa un miliardo di dollari. La Cbs chiede a Gratteri dell’inchiesta “New Bridge” e del ruolo dell’agente dell’Fbi infiltrato nei clan calabresi, il cui lavoro portò a una serie di arresti anche a New York. «Noi avevamo una paura terribile. Lui ha viaggiato per più di 100 chilometri con questa cocaina in macchina. È stato emozionante e spaventoso perché avrebbero potuto ammazzarlo, perché potevano arrestarlo e sarebbe saltata tutta l’indagine. L’agente è stato molto bravo, è stato un grande lavoro che abbiamo fatto con gli americani». Indagini al confine tra realtà e fiction: «Ogni volta che investighiamo alziamo l’asticella», risponde il procuratore. Ed è inevitabile, perché – dice Nicaso – «è difficile capire quanto le mafie siano ben organizzate e radicate nella società».
La Cbs si sposta nell’impresa di Antonino De Masi. «Conosco la ‘ndrangheta perché mi hanno distrutto le case – dice l’imprenditore –, perché mi hanno sparato 44 colpi di kalashnikov, perché hanno tentato di estorcermi del denaro, perché il boss ha minacciato di uccidere me, mia moglie e i miei figli». «Questa è una terra che ha normalizzato il male e l’oppressione – continua De Masi –, ma sono convinto che ognuno di noi ha il dovere di essere cittadino e ha l’obbligo di essere l’attore protagonista di un cambiamento». Per De Masi Gratteri «è la pietra d’angolo della rivoluzione che auspichiamo per la Calabria. Lui è l’elemento centrale su cui le speranze di tante persone si stanno rivolgendo. E se a lui dovesse succedere qualcosa si ucciderebbe la speranza».
I “Cacciatori” guidano le telecamere a caccia dei bunker all’interno dei quali la ‘ndrangheta nasconde i propri uomini, nel profondo Aspromonte. All’interno di un piccolo container quasi impossibile da rintracciare, i carabinieri hanno beccato un latitante intento a farsi un caffè. «Non vivono certo come persone facoltose e potenti», osserva l’inviato. «Questa è un’altra caratteristica della ‘ndrangheta – risponde Nicaso –. In Calabria non troverete posti che mostrano la potenza e la ricchezza dei boss. Una volta ho chiesto a un ex mafioso come si faccia a vivere così. Mi ha risposto: “È vero, vivevo come un ratto, ma avevo la possibilità di piazzare un mio uomo in una importante posizione di potere”. Il denaro va e viene, ma lo scopo è mantenere il potere». (ppp)
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