Dallo scorso Natale la Calabria è finita in fondo al pozzo dell’irrazionalità, della rabbia domestica e dell’odio verso il prossimo. Il Covid ha amplificato la debolezza del Servizio sanitario, la disorganizzazione e le carenze assistenziali, l’insufficienza delle misure governative, le contraddizioni nella politica e la generale mancanza di spirito comunitario. In questo abisso è impossibile parlare di economia, progetti, prospettive. Ognuno pensa a sé e non esiste un motivo aggregante, neppure davanti all’emergenza e alla crisi globale. Così non basteranno i fondi – quanti e quando non è l’unico, grosso problema – del Recovery, e le ultime richieste a Draghi potrebbero rivelarsi l’ennesimo tentativo, della politica, di buttarla in calcio d’angolo. A più di un anno dall’inizio della pandemia, in Calabria i posti di terapia intensiva sono ancora pochi, rimane scarsa la capacità di processare i tamponi molecolari e come il pane servono medici, infermieri, Oss, biologi e tecnici di laboratorio; nel complesso oltre un migliaio. Nel disordine di codesto diluvio calabrese, anche i paradossi più grandi passano in cavalleria. Per esempio certe ricopiature dell’atto aziendale dell’Asp di Crotone da quello dell’Asl di Frosinone – che non violano diritti d’autore ma dovrebbero pur generare qualche domanda – e il congelamento dei vecchi bilanci dell’Asp di Cosenza, un ulteriore pressante tormento per il delegato del governo, Guido Longo. Le vaccinazioni procedono a passo di lumaca e l’assistenza territoriale non è mai partita, se ricordiamo le file dall’alba degli utenti, i rinvii delle visite e l’ignorata casualità della prevenzione. L’Asp di Catanzaro ha tagliato postazioni e servizi e ovunque la sinergia Territorio-ospedali resta un miraggio: perché siamo alla canna del gas e uffici chiave della sanità sono stati travolti da inchieste giudiziarie con ipotesi sconcertanti. Nel contesto si sviluppa la sfiducia e la repulsione dei calabresi verso le istituzioni e l’intera rappresentanza politica; come l’idea, veicolata da eletti e candidati, che ogni angolo di palazzo sia inquinato, insano, corrotto. Quindi le soluzioni scompaiono dal dibattito quotidiano, cresce la deresponsabilizzazione dei singoli e la conseguente attesa di un messia che ci salvi dal dissesto etico, civile e intellettuale della Calabria, che rovesci i potenti dai loro troni. È una prospettiva che produce consenso, favorita dal declino della scuola e sospinta dalla vuotezza comunicativa nell’universo digitale, basata sull’apologetica dell’inutile, dell’ovvio e dell’effimero, sulla costruzione di eroi perseguitati dai malvagi, sul confinamento del giudizio critico e sul rifiuto della realtà a favore della più digeribile (e autoassolutoria) teoria del complotto. Insomma, il torto è sempre degli altri. Ma guai a chi offende la Calabria e grazie alla tv nazionale che ne mostra gli orrori (con l’enfasi e la distanza dello spettacolo in diretta).
Per fortuna, una scossa arriva dall’appello in rete di due ragazzi lametini: Gianmarco Cimino e Dariush Assadi, con formazione e storie politiche opposte. «La rivoluzione – avvertono in un video pubblicato sui loro profili Facebook – deve partire da noi giovani, che non abbiamo colpe e dobbiamo guardare avanti, costruire, andare oltre la rabbia, vincere la rassegnazione che corre sui social». «Basta – ammoniscono – con le chiacchiere, le scuse, i miti di carta. Bisogna riunire le forze sane della Calabria: metterci la faccia, impegnarci, avere l’ambizione del riscatto collettivo. Dobbiamo uscire dalla prigione degli schemi, dei pregiudizi, dell’impotenza e del virtuale». Quindi la proposta – irricevibile? – di un’assemblea costituente «per le elezioni regionali dell’autunno», accompagnata dall’invito a organizzarla «con autonomia e coraggio» e la richiesta che la politica si muova rinunciando alle logiche delle alleanze elettorali, perché «le idee e i contenuti sono per il bene comune e sono più importanti dei colori, delle collocazioni e delle strategie dei partiti». È potente e netto il messaggio di Cimino e Assadi. «Apriamo alla partecipazione, non chiudiamoci – scandiscono i due – nei luoghi comuni. Rinunciamo all’idea che la Calabria sia perduta, rimbocchiamoci le maniche e prepariamo un programma serio, forte, nuovo: sanità, lavoro vero, uscita dal Piano di rientro, garanzia dei servizi essenziali, investimento nelle capacità, nei meriti, sulle risorse di natura e cultura della nostra terra». Per una volta un approccio differente: non un messaggio contro qualcuno, ma per qualcosa che urge. Anche se potrebbe non scomporre i segretari “romani” dei partiti e i loro referenti regionali, questa iniziativa è troppo attuale per essere bollata come ingenua fantasia. «Riappropriamoci degli spazi che ci hanno tolto, costruiamo speranze e possibilità. Tuteliamo in prima persona – sottolineano Cimino e Assadi – i nostri diritti, smettiamola di piangerci addosso, di elemosinare, disperarci e delegare».
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