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“Rinascita”, le colonnine di carburante e i prestanome della famiglia Mancuso

Il figlio di Pantaleone “l’ingegnere”, racconta l’interesse del clan nel settore dei carburanti. La fedeltà dei Solano e la caccia alle microspie

Pubblicato il: 19/04/2021 – 6:40
di Alessia Truzzolillo
“Rinascita”, le colonnine di carburante e i prestanome della famiglia Mancuso

CATANZARO A luglio 2014 scatta l’operazione “Mediterraneo” che colpisce la cosca Mancuso e in particolare Giuseppe Salvatore Mancuso, figlio di Pantaleone “l’Ingegnere”. In quella occasione, ricorda il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso – figlio dell’ “Ingegnere” e fratello di Giuseppe Salvatore Mancuso – l’allora sua fidanzata, Nancy Chimirri, insieme ad Anna Vardè, si recarono da una giornalaia della zona «minacciandola di non vendere i quotidiani e di togliere le locandine che ritraevano o riguardavano mio fratello». Le due donne strapparono la locandina esterna e tutti i quotidiani che davano la notizia. Accadde, però, che la giornalaia venne convocata dalla Dda di Catanzaro. La donna — terrorizzata dall’episodio presso la sua edicola — «non solo non denunciò nulla ma ci avvertì subito di questa convocazione e la situazione fu in qualche modo ricomposta, ma io mi preoccupavo del fatto che, non essendoci stata la denuncia, la Dda fosse comunque a conoscenza del problema», racconta Emanuele Mancuso. Il sospetto era che le due donne fossero state in qualche modo sottoposte a intercettazione «per cui decisi di bonificare i luoghi dove sapevo che si erano verificati colloqui riguardanti tale questione», racconta Mancuso. E uno di questi luoghi era la colonnina di benzina della famiglia Solano, installata a poca distanza dalla casa dei Mancuso. In quel caso la bonifica ebbe esito negativo. La microspia venne trovata in macchina della fidanzata di Emanuele Mancuso, Nancy Chimirri. « Non so come sia possibile che nessuno abbia pagato mai, sul piano giudiziario, per questo episodio», si chiede, oggi, il collaboratore di giustizia.  Resta pacifico, nel racconto del collaboratore, il fatto che i Solano non posero alcun veto nel momento in cui Emanuele Mancuso chiese di ispezionare la colonnina di benzina in cerca di microspie. Anzi, in una occasione furono loro stessi a chiedere una bonifica

Le colonnine di benzina e le teste di legno del clan

La spiegazione – racconta Mancuso – sta nel fatto che la sua famiglia, intesa come nucleo familiare ma anche come clan, avesse interessi nel settore dei carburanti. Lo racconta in un interrogatorio recentissimo – il 24 novembre 2020 – davanti al sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo e ai militari del Ros.
«… sono a conoscenza – dice Mancuso – di interessi di esponenti della mia famiglia in questo settore ed in particolare del fatto che alcuni di essi hanno aperto delle pompe di benzina al Nord Italia; mi riferisco a Leo Rizzo, fratello di Giovanni coinvolto nel duplice tentato omicidio di Giovanni Rizzo e Romana Mancuso, Antonino Gallone e Antonio Solano». «La maggior parte dei componenti della mia famiglia, investiva in colonnine di benzina, attraverso prestanome; tra questi ricordo adesso Alfonso Cuturello figlio di Roberto, poi arrestato per droga. Inoltre, come ho già riferito, zio Ciccio Tabacco per il tramite della sua amante, una donna della famiglia Bagnato, pure gestiva una colonnina di benzina», aggiunge Mancuso.
«Preciso che la famiglia Solano di Nicotera è da sempre stata vicina alla mia famiglia, precisamente a mio padre, tant’è vero che ha aperto una colonnina davanti casa mia. I Solano erano persone ufficialmente pulite che venivano utilizzate dalla mia famiglia come prestanome proprio in virtù di questo. Sono cose che conosco per averle apprese nell’ambito familiare, tant’è vero che sul punto vi racconto che quando feci una rapina, all’incirca nel 2012, ai Solano, proprio presso la colonnina in questione, venni rimproverato dalla mia famiglia dal momento che i Solano non dovevano essere toccati».
Non solo. Quando venne ridotta a due anni e otto mesi la pena inflitta a Gallone Antonino, braccio destro di Pantaleone Mancuso “l’Ingegnere”, arrestato per questioni di droga, «la mia famiglia decise di far aprire ai Solano una colonnina al nord Italia in modo poi da far figurare l’assunzione del Gallone presso tale attività facendogli così ottenere l’affidamento in prova». Quando parla dei Solano, Mancuso si riferisce ad Antonio Solano, al padre, alla sorella Giulia e a suo marito (non sono indagati, ndr). 

«Di fatto la colonnina era della mia famiglia»

Secondo Emanuele Mancuso la colonnina di carburante che veniva gestita dai Solano era un investimento della sua famiglia. Il collaboratore racconta di averlo capito perché «sia io che la mia famiglia potevamo usufruire di rifornimenti di carburante per le nostre vetture in maniera gratuita ed illimitata. Io pagavo solamente se acquistavo qualcosa all’interno del bar-tabacchi della colonnina (seppur godendo di uno sconto particolare), mentre usufruivo gratuitamente dell’autolavaggio. Mi vennero anche consegnate (da Francesco il marito di Giulia Solano, come specifica in sede di rilettura) 4 schede punti della Q8, che venivano puntualmente ricaricate come se io usufruissi di 200 euro di benzina al giorno per ogni singola scheda (godendo dei relativi benefit per i punti accumulati), mentre la benzina la prendevo a credito, anche se poi non saldavo mai il conto. In più riferisco che non ho mai visto né mia madre né i miei familiari pagare il carburante presso quella colonnina. Mia madre diceva di avere un conto aperto presso quel distributore, il quale a mia conoscenza non veniva mai veramente saldato. Io stesso, a fine mese non saldavo il conto dei rifornimenti effettuati, tant’è che quando mi accingevo a farlo mi veniva esplicitamente detto che era stato già saldato». 

Alla colonnina gli incontri per gli affari di famiglia

Secondo quanto racconta Emanuele Mancuso la colonnina di carburante dei Solano era anche luogo di incontro per discutere questioni inerenti alla sua famiglia. Un episodio si verificò dopo il 2014, in seguito a «un’operazione di polizia che aveva coinvolto alcune famiglie mafiose di San Luca e dintorni». Un tale Sergi «proveniente dalla “Montagna”, quindi da San Luca o da Piatì e zone limitrofe» si recò alla pompa di benzina per chiedere un incontro con qualcuno della famiglia Mancuso. All’incontro venne mandato Emanuele Mancuso al quale Sergi spiegò che aveva bisogno di recuperare un debito di 10mila euro nei confronti di un tale Baratta, un uomo che «operava su Milano nel settore degli stupefacenti per conto di mio padre e di Antonino Gallone».
Il debito riguardava alcune partite di droga e Mancuso interessò della cosa Antonino Gallone. «Un primo incontro – racconta Mancuso – vi fu subito, alla mia presenza, e le parti si accordarono per soddisfare la richiesta di questo soggetto. In un’altra occasione vidi, solo per mera casualità (io mi ero defilato dalla vicenda), di nuovo il Gallone con questi soggetti, sempre alla colonnina». Ma Gallone si preoccupava che le telecamere della pompa di benzina potessero avere ripreso gli appuntamenti e che potessero finire nelle mani delle forze dell’ordine che spesso richiedeva le registrazioni «anche per vicende di poco conto».
«Allora – racconta Mancuso – decisi di rivolgermi al marito di Giulia Solano, Francesco, al quale ordinai di cancellare tutte le immagini delle telecamere in essere fino a quel momento e di impostare il sistema di videosorveglianza in modo che le registrazioni si cancellassero automaticamente nelle 24 ore, o addirittura in modo che non registrasse affatto. Francesco eseguì senza battere ciglio. Questo per rimarcare come la colonnina fosse anche un punto di incontro per prendere contatto con la mia famiglia e come l’intero nucleo familiare dei Solano fosse a nostra completa disposizione». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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