REGGIO CALABRIA Al termine di indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri, la Squadra mobile della Questura di Reggio Calabria e il Servizio centrale operativo, il Ros dell’Arma dei Carabinieri (supportato dal Comando provinciale di Reggio Calabria) e il Gico della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, unitamente allo Scico, hanno dato esecuzione alle ordinanze di applicazione di misure cautelari nr. 4582/17 – 3400/17 R.G.N.R. D.D.A., nr. 3400/17 R.G.G.I.P D.D.A. e nr. 18 – 35 – 54/20 R.O.C.C. D.D.A, nonché nr. 8/21 OCC emesse il 27 gennaio 2021 e il 14 aprile 2021 dal gip presso il Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della Dda, nei confronti di 53 soggetti, di cui 44 colpiti dalla misura cautelare della custodia in carcere e 9 agli arresti domiciliari, indagati, a vario titolo, per associazione mafiosa (cosca Pesce), detenzione, porto e ricettazione illegale di armi, estorsioni (consumate e tentate), favoreggiamento personale, aggravati dalla circostanza del metodo e dell’agevolazione mafiosa, nonché per traffico e cessione di sostanze stupefacenti (prevalentemente marijuana e hashish).
Con lo stesso provvedimento, su richiesta della Dda, il gip ha disposto anche il sequestro preventivo di tre società con sedi a Rosarno, il cui valore complessivo è di oltre 8,5 milioni di euro.
La Squadra mobile – con il coordinamento del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato e con la collaborazione delle omologhe strutture investigative di Vibo Valentia, Torino, Foggia, Imperia, Asti, Benevento, Cagliari, Napoli, Prato e Rovigo, nonché con il supporto operativo di numerosi equipaggi dei Reparti Prevenzione Crimine – ha dato esecuzione a 49 misure cautelari nei confronti altrettanti soggetti.
Il Ros e il Gico hanno eseguito misure cautelari personali nei confronti di altri 4 soggetti e sequestrato una cooperativa agricola – con annessi capannoni industriali e terreni – e un’impresa individuale – avente ad oggetto l’esercizio di attività agricola, con relativi terreni – per un valore di stimato di oltre 8,5 milioni di euro.
L’odierna operazione di polizia scaturisce dalla convergenza investigativa di due attività di indagine – quella condotta dalla Squadra Mobile denominata Handover e quella svolta dal Ros e dal Gico di Reggio Calabria denominata Pecunia Olet – coordinate dal procuratore aggiunto Calogero Gaetano Paci e dai sostituti procuratori Francesco Ponzetta e Paola D’Ambrosio, nei confronti della cosca Pesce di Rosarno, articolazione di ‘ndrangheta ramificata sul territorio di Rosarno e nei comuni vicini e con interessi sia in ambito nazionale che all’estero.
Dette attività hanno consentito di disarticolare le proiezioni della cosca, sia sul fronte delle attività tipicamente criminali, connesse alla gestione del traffico di stupefacenti, alle estorsioni ed al “controllo” delle commesse di lavori gestite dalla Autorità portuale di Gioia Tauro riguardanti opere interne all’area portuale, sia sul fronte economico/imprenditoriale, destrutturando la gestione monopolistica da parte della cosca – attraverso accordi collusivi con un gruppo imprenditoriale siciliano, con mire espansioniste in territorio calabrese – del settore della grande distribuzione alimentare e della gestione delle attività economiche collegate alla grande distribuzione. Nello specifico, l’inchiesta Handover rappresenta la prosecuzione dell’operazione Recherche, nell’ambito della quale, in data 04 aprile 2017, vennero eseguite numerose misure cautelari nei confronti di esponenti della potente cosca Pesce di Rosarno per associazione mafiosa e associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. In quella circostanza, riusciva a sottrarsi alla cattura Antonino Pesce, classe 1992, che veniva successivamente localizzato e catturato il 10 marzo 2018 a Rosarno dagli investigatori della Squadra mobile e del Servizio centrale operativo.
Le indagini finalizzate alla cattura di Antonino Pesce e quelle condotte sul contesto mafioso, hanno consentito di: ricostruire l’articolata rete dei fiancheggiatori che hanno favorito la sua latitanza, tanto da consentirgli di dirigere gli affari della cosca, senza mai abbandonare il territorio; disvelare come la cosca Pesce, sebbene avesse subito un duro colpo per effetto delle operazioni che avevano determinato l’arresto dei suoi esponenti storici, sia stata capace di riorganizzarsi e proseguire nella gestione delle attività illecite, operando nei settori del traffico di sostanze stupefacenti, delle estorsioni in danno di operatori economici, del controllo delle attività appaltate dall’Autorità Portuale di Goia Tauro, della proprietà privata [attraverso la guardiania], assoggettando queste attività a imposizione patrimoniali, finalizzate a consentire all’organizzazione criminale di far fronte alla costante esigenza di liquidità, necessaria per sopperire, in primis, alle spese necessarie per il sostentamento dei latitanti, dei detenuti e delle loro famiglie.
L’inchiesta ha, inoltre, mostrato le modalità attraverso le quali il clan – dimostrando spiccata capacità di riorganizzazione dopo le operazioni di polizia che l’avevano duramente colpita – abbia continuato ad operare sul territorio in accordo con altre potenti articolazioni della ‘ndrangheta quali i Bellocco di Rosarno e i Piromalli di Gioia Tauro, rispetto alle quali è stata accertata in maniera chiara l’attitudine – in modo particolare dei Pesce – di controllare capillarmente il territorio e di esercitare una pervasiva capacità di infiltrazione nel tessuto economico e sociale attraverso il compimento di reati di natura estorsiva in danno di proprietari terrieri o nel settore dei trasferimenti immobiliari di beni e terreni ubicati nel territorio sottoposto alla loro signoria, attuando forme dirette o indirette di controllo della circolazione dei beni e di imposizione [prelievo forzoso] sui trasferimenti degli stessi, attraverso il cosiddetto “sistema della guardiania” che prevede il pagamento di una somma di denaro all’organizzazione criminale in cambio di sicurezza, intesa come condizione che pone il proprietario di un terreno agricolo nella situazione di non subire attacchi ai propri beni; nonché quelli posti in essere nei confronti degli operatori economici presenti sul territorio [stabilmente o occasionalmente], impegnati nella realizzazione di lavori pubblici o di interesse pubblico.
L’attività di indagine ha conferma come, nel rispetto delle dinamiche criminali che governano il territorio di Rosarno e San Ferdinando, la cosca Pesce si sia spesso interfacciata con i Bellocco [anch’essi attivi sugli stessi territori] e con i Piromalli operando non di rado congiuntamente, per riscuotere ingenti somme di denaro destinate al finanziamento di attività illecite, al sovvenzionamento dei sodali detenuti e delle loro famiglie, nonché alle esigenze del latitante Antonino Pesce, classe 1992.
Gli investigatori hanno individuato l’esistenza di uno stabile sistema criminale di imposizione a tappeto – da parte della cosca Pesce e delle altre consorterie operanti sul territorio – di estorsioni, anche per diverse migliaia di euro in danno di privati cittadini, imprenditori, commercianti ed operatori economici in genere.
Nello specifico, nel periodo compreso tra il 2015 e il 2019, sono state poste in essere dai componenti della cosca Pesce, ma anche della cosca Bellocco e dei Piromalli, le seguenti estorsioni:di 1.000 euro all’anno, nei confronti di alcuni proprietari di terreni di Rosarno, rimasti ignoti e di almeno 5.000 euro, da destinare ai “carcerati”; di 4.000 euro, in danno di un imprenditore boschivo per ottenere, dalla cosca Pesce, l’autorizzazione a procedere alla vendita della legna ottenuta dal taglio degli alberi in un terreno sito nell’area sottoposta all’influenza della consorteria criminale; di 2000 euro, in danno di un privato che aveva acquistato due terreni in una località di Rosarno; di una somma di denaro non quantificata, come corrispettivo per la compravendita di due terreni da un commerciante di San Ferdinando; di 10.000 euro, quale percentuale dovuta alle cosche Pesce e Bellocco sulle compravendite dei terreni ricadenti nelle zone sottoposte al loro controllo; di 10.000 euro, in danno di un imprenditore [non identificato] di Rosarno, ricevendo inizialmente 7.800 euro ed intimando alla vittima di corrispondere il restante importo [ai Bellocco e ai Pesce] e di altri 10.000 euro, durante il periodo natalizio; di 3.000 euro a un imprenditore impegnato nella realizzazione di un’opera pubblica a Rosarno; di una somma di denaro non quantificata, in danno di un imprenditore del settore edile impegnato nella realizzazione di alcuni lavori pubblici appaltati dalla Provincia di Reggio Calabria; di una somma di denaro non quantificata, in danno del titolare di una ditta di autotrasporti, con la minaccia di danneggiare la sua attività commerciale mediante esplosione di colpi d’arma da fuoco, nonché di impedirgli di svolgere la sua attività e perfino di ucciderlo o di uccidere i suoi familiari; di una somma di denaro non quantificata nei confronti di un imprenditore edile – già vittima in passato del furto di alcuni automezzi e di danneggiamento, mediante esplosione di colpi d’arma da fuoco, della sua attività commerciale – non corrisposta ai Pesce perché la vittima aveva già pagato l’estorsione alla cosca Bellocco che aveva riscosso anche la parte spettante ai Pesce; di un compenso di 10.000 euro, ad un imprenditore operante nella zona industriale di San Ferdinando, con la minaccia di far saltare in aria la sua attività commerciale, qualora non avesse provveduto a pagare entro un termine prestabilito; di 3.000 euro mensile ai referenti della società che si era aggiudicata l’appalto della raccolta dei rifiuti nel comune di San Ferdinando – già vittima in passato di danneggiamenti ai propri mezzi, nonché di richieste estorsive perpetrate da esponenti dei Bellocco – da giustificare con l’emissione di fatture per operazioni inesistenti.
La cosca sarebbe anche stata interessata ai lavori relativi alla manutenzione del verde del comune di San Ferdinando, ma avrebbe poi rivolto le proprie attenzioni verso i lavori effettuati nell’area portuale tra Gioia Tauro e San Ferdinando, riguardanti la costruzione di un capannone industriale, affidata dall’Autorità portuale di Gioia Tauro ad una società di costruzioni di altra provincia calabrese e la realizzazione – tra il Porto e la 1^ Zona Industriale – di un terminal intermodale, assegnata dall’Autorità Portuale ad una società lombarda e da quest’ultima ad un’associazione temporanea d’imprese costituita da due ditte, una lombarda e una di altra provincia calabrese. Lavori che venivano in parte poi espletati – in regime di sub appalto – da altre ditte, alcune delle quali sostanzialmente imposte dalle cosche Pesce e Piromalli che le costringevano a pagare il pizzo, riaffermando, in tal modo, l’influenza criminale sull’importante struttura portuale di quel territorio.
Il clan di Rosarno, grazie ai proventi derivanti dai traffici di sostanze stupefacenti – oltre a quelli delle attività estorsive – aveva la disponibilità di una cassa comune in grado di garantire agli affiliati ed alle loro famiglie una sistematica remunerazione. Rispondono di associazione mafiosa 13 soggetti, per aver fatto parte della cosca Pesce, con il ruolo di dirigenti e partecipi. Sono invece accusati di aver preso parte all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti 13 soggetti in qualità di promotori, dirigenti e partecipi. Altri soggetti rispondono di cessione di sostanze stupefacenti. Invero, le indagini hanno consentito di documentare diversi episodi di detenzione ai fini di spaccio di quantitativi, anche ingenti, di sostanza stupefacente [prevalentemente marijuana e hashish], parte dei quali sono stati sottoposti a sequestro. Altri indagati sono ritenuti responsabili di numerose estorsioni, per diverse migliaia di euro, consumate e tentate in danno di privati cittadini, imprenditori ed operatori economici, nonché di detenzione di armi anche da guerra (kalashnikov, mitragliatrice P40 e M12 S). Alcuni soggetti sono indagati a piede libero per intestazione fittizia di beni.
In carcere:
Antonio Alessia;
Marco Alviano;
Domenico Bellocco cl. 1976;
Rocco Bellocco;
Domenico Bellocco cl. 1980;
Domenico Bellocco cl. 1987;
Gioacchino Bonarrigo;
Girolamo Bruzzese;
Giovanni Burzì;
Giuseppe Cacciola, cl. 1987;
Giuseppe Cacciola, cl. 1989;
Carmine Giuseppe Cannatà;
Domenico Ciurleo;
Salvatore Consiglio;
Salvatore Copelli;
Salvatore Corrao;
Nazario Di Lella;
Salvatore Etzi;
Luca Fedele;
Giuseppe Antonio Ferraro;
Giovanni Grasso;
Ippolito Ieraci;
Pasquale Loiacono;
Antonio Megna “u paperu”;
Cristian Pagano;
Benito Palaia;
Gaetano Palaia;
Antonino Pesca, “u pecura”;
Antonino Pesce, “materassino”;
Antonino Pesce, “pizzolino”;
Antonino Pesce, “Nino Erre”;
Francesco Pesce;
Rocco Pesce, “u tirotta”;
Savino Pesce, “u pecuraru”;
Vincenzo Pesce, “U sciorta”;
Bruno Pisano;
Domenico Preiti;
Giuseppe Saladino;
Piero Schimio;
Giuseppe Seminara;
Angelo Tarantino;
Tiberio Sorrenti.
Arresti domiciliari:
Armando Delisi;
Giuseppe Ferlazzo;
Salvatore Ferraro;
Francesco Giovinazzo;
Francesco Antonio Ieraci;
Michele Larosa;
Francesco Benito Palaia;
Giuseppe Papalia;
Giuseppe Pesce.
x
x