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l’interrogatorio

Rinascita, Mantella e la rete della massomafia che aggiustava i processi

Prima deposizione del pentito-chiave nel maxi processo. «Razionale il Leonardo Da Vinci della ‘ndrangheta. Pittelli un massone clandestino»

Pubblicato il: 22/04/2021 – 16:02
di Alessia Truzzolillo
Rinascita, Mantella e la rete della massomafia che aggiustava i processi

LAMEZIA TERME Maglioncino blu scuro indossato su una camicia chiara, i capelli ingrigiti, radi sulla nuca, i modi pacati e decisi mentre racconta dei tre omicidi commessi ancora minorenne per conto dei Lo Bianco-Barba, cosca attiva nella città di Vibo Valentia, o quando afferma «io criminale ci nacqui». Parla tranquillo e sicuro, si rivolge al pm Annamaria Frustaci chiamandola «illustrissimo procuratore» e precisa con capillarità ogni racconto, perché, dice: «Io sono inattacabile».
 A 12/13 anni cerca di mettersi in mostra agli occhi della cosca Lo Bianco-Barba telefonando da una cabina all’imprenditore Pino Lo Schiavo: «O mi dai 30 milioni o ti faccio saltare in aria». Fu quella la sua prima azione estorsiva. In effetti il gesto colpisce il capocosca Carmelo Lo Bianco, alias “Piccinni”. Il clan lo prende tra le sue fila aggiudicandosi un ragazzino capace di uccidere. Ancora minorenne ammazza, su mandato, Francesco Callipo, Rosario Tavella, Michele Neri. La carriera da killer non si ferma e con la maggiore età fa fuori, per conto dei Lo Bianco, Mario Franzone e Filippo Gangitano. Il collaboratore di giustizia Andrea Mantella – teste chiave nel Processo Rinascita-Scott – si accolla anche gli omicidi di Raffaele Cracolici, Domenico Belsito, Domenico Di Leo. E il carnet omicidiario non è finito visto che i nomi di altre vittime sono ancora coperti da segreto istruttorio.
Mantella nel corso della propria carriera criminale si è occupato di estorsioni, accoltellamenti, omicidi ma, dice, «mi sono sempre rifiutato di commettere reati a sfondo sessuale o scippi ai vecchietti, quelle porcherie lì». Tanto che quando Carmelo Lo Bianco gli chiede di sparare alla nipote colpendola alla vagina lui rifiuta e il delitto alla fine lo commette Filippo Gangitano.

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La morte di Scrugli e la decisione di collaborare

Con il sodale Francesco Scrugli «ho condiviso la mia adolescenza», dice, «era una sorta di mio braccio destro. Nell’ultimo periodo era fidanzato con mia sorella ma non è questo quello che conta. Tra noi c’era una fratellanza criminale».
Il 21 marzo 2012 a Vibo Marina, Francesco Scrugli viene assassinato nell’ambito della faida di Stefanaconi tra Patania e Piscopisani. Mantella si trovava in carcere dal 2011 per associazione mafiosa. Passa dal carcere di Vibo a quello di Spoleto, Livorno, Torino. A maggio 2016, un mese prima della scarcerazione, decide di collaborare con la giustizia. «Non mi sentivo più uno ‘ndranghetista», racconta in aula. Se avesse proseguito sulla propria strada il primo passo, appena uscito dal carcere, sarebbe stato quello di vendicare la morte di Scrugli. «È stato meglio così per tutti», commenta.

«Saverio Razionale è un fuoriclasse, è il Leonardo da Vinci della criminalità organizzata»

Andrea Mantella, oggi 49 anni, ha subito un grande impatto e una grande fascinazione dal boss di San Gregorio D’Ippona Saverio Razionale. Oggi lo accusa ma allo stesso tempo descrive l’intelligenza fine che lo distingueva e gli insegnamenti che gli ha impartito. «Quando noi ancora pascolavamo le pecore – dice – Saverio Razionale guidava la sua Lamborghini sulle strade di Vibo. Lui è un fuoriclasse. È il Leonardo da Vinci della criminalità organizzata». Detenuti insieme nel carcere di Paola, Saverio Razionale, dice Mantella, «mi fece la cresima e dall’esterno mi ha fatto avere un preziosissimo orologio in segno di comparaggio». Il boss gli spiega qual è il senso della “Caddara”. «È inutile che il vibonese si ribella – gli avrebbe detto Razionale – che alla fine siamo tutti nella Caddara», che è un grande pentolone nel quale i capi erano Saverio Razionale, Rosario e Filippo Fiarè, Peppe Mancuso, Carmine Galati, Raffaele Fiamingo, Giuseppe Accorinti.

La rete massonica al servizio delle cosche

Secondo Andrea Mantella esisteva una vasta rete massonica che si attivava ogni volta che c’era da aggiustare un processo. Un esempio, racconta Mantella, è quanto accadde dopo l’omicidio di Ferdinando Manco. «La perizia balistica sulla salma mi inchiodava all’omicidio. Rischiavamo l’ergastolo io e Scrugli», racconta Mantella che, insieme a Francesco Scrugli decide di darsi alla macchia. Nello stesso tempo chiede a suo cognato Antonio Franzè di intervenire e questi, «attraverso il commendatore e massone Carmelo Fuscà attiva la rete di copertura massonica deviata». Una rete che raggiunge il giudice lametino Michele Amatruda «che era vicino ai Giampà», dice Mantella. «Ci siamo costituiti il 17 aprile 1993 dopo avere avuto la promessa che non saremmo stati condannati a più di 16 anni». Mantella racconta che la condanna fu di 14 anni in primo grado e 12 in secondo grado. Ma l’intervento della rete di protezione non finisce qui.
«Sono rimasto in carcere 8/9 anni – racconta Mantella – poi sono uscito grazie a Saverio Razionale che mi consigliò di nominare quale avvocato Giancarlo Pittelli che sarebbe intervenuto sul permesso premio con il presidente del Tribunale di sorveglianza». Mantella definisce l’avvocato Giancarlo Pittelli «un massone clandestino in una loggia paramafiosa».
Mantella – così come riportato durante un esame dal collaboratore di giustizia Luigi Guglielmo Farris – ha affermato che «Pittelli, mi raccontò Razionale, venne malmenato da Peppe ‘Mbroglia il quale diceva che l’avvocato si era fatto influenzare da Luigi Mancuso per venderselo processualmente»

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«L’ospedale di Vibo era una cantina sociale»

Mantella esce dal carcere e non vi fa più ritorno grazie a Paolino Lo Bianco – figlio di Carmine “Piccinni” – che comanda sull’ospedale di Vibo Valentia. «L’ospedale sembrava una cantina sociale», dice Mantella. «Ho finto una caduta da cavallo e non sono più tornato in carcere. In effetti io sto facendo più carcere da collaboratore di giustizia di quanto ne ho fatto da mafioso». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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