CATANZARO Giulio Fabio Rubino è un collaboratore di giustizia di origini casertane. Il suo ramo operativo, prima del pentimento, era il narcotraffico. È per questo motivo che Rubino, nel 2014, «forse prima di giugno», avrebbe cercato un contatto con Luigi Mancuso, potente boss di Limbadi ritenuto uno dei perni del potere mafioso in Calabria. D’altra parte il broker campano è un esperto del settore. L’inchiesta “European ‘ndrangheta connection” gli conferisce un ruolo diretto nella costruzione di una capillare rete di rapporti con narcos colombiani, calabresi, siciliani e napoletani. Con Mancuso, racconta il pentito ai magistrati in un verbale del 28 giugno 2019, Rubino avrebbe «parlato di traffici di stupefacenti». E avrebbe ricevuto un “no”: «Non accettò perché impegnato in un traffico di petrolio». Frase che mette in evidenza l’impegno delle “petrolmafie” calabresi nel settore. Dopo aver identificato il boss, Rubino racconta quell’incontro, avvenuto in un contesto che lega il clan del Vibonese al clan catanese dei Cappello.
È grazie al contatto stabilito con Maria Rosaria Campagna, compagna napoletana del boss siciliano Salvatore Cappello, che Rubino si avvicina al narcotraffico. Il pentito dice di «aver incontrato Luigi Mancuso quando Campagna era ancora libera (era stata scarcerata nel 2011, sarà nuovamente arrestata nel 2017 nell’inchiesta Penelope della Dda di Catania, ndr)», spiegando di «essere sceso in Calabria con la stessa donna e il figlio di lei». Scopo del viaggio era «chiedere un contributo economico a Mancuso per l’acquisto di un carico di droga approvvigionato in Sudamerica dal fratello di Rubino».
«La Campagna – spiega il collaboratore di giustizia – chiese aiuto a Luigi Mancuso dicendo che 20 anni fa lo avevano coperto in relazione a un omicidio avvenuto a Milano, quindi sicuramente l’avrebbe aiutata». Il vecchio legame, però, non basta a convincere il capoclan: «Mancuso – nota Rubino – stoppò quasi subito la Campagna riferendo che non era il momento giusto per affrontare tale situazione, atteso che lo stesso aveva in corso un affare relativo ai carburanti provenienti dall’Est Europa, invitando, qualora interessata, anche la Campagna nell’affare». Una volta in auto sulla via del ritorno, la donna rimarca «la caratura criminale del clan Mancuso, e in particolare di Luigi Mancuso, specificando peraltro che “tutte le pompe di benzina da lì alla Campania in qualche modo erano sotto li lui”».
Se il potere della cosca si spinge fino in Campania, in Calabria il controllo appare totale. I magistrati della Dda di Catanzaro definiscono «parassitaria» l’infiltrazione della cosca nel traffico dei carburanti. E gli incontri tra due degli indagati chiave di “Petrolmafie” supportano la definizione. Sono Silvana Mancuso e Giuseppe D’Amico, imprenditore di riferimento della cosca nel settore, a “raccontare” ai pm il livello di controllo esercitato dal clan vibonese. È Mancuso a mettere al corrente D’Amico dei contrasti insorti «con alcuni soggetti di Rosarno, legati al controllo che questi ultimi avrebbero preteso di esercitare sul porto di Gioia Tauro».
«I rosarnesi – riferisce la donna – erano venuti belli belli, fini fini… avevano mandato la ‘mbasciata, lo sai? Volevano entrare con le navi! Eh, li abbiamo fermati». Certo il gruppo non è risposto a cedere il proprio controllo («glielo diamo a loro il mangiare?»).
Il tema ricorre nei dialoghi. Silvana Mancuso lo reintroduce e spiega ancora che da Rosarno è arrivata la richiesta «di esercitare autonomamente, seppur con il placet di Luigi Mancuso (“tramite lui”), il controllo sul porto di Gioia Tauro (“che i Rosarnesi vogliono scendere, tramite lui, tramite altri … che vogliono scendere al porto di Gioia Tauro”), non estromettendo del tutto i Mancuso, ma rilegandoli comunque ad un ruolo marginale (“e darci qualche elemosina”)».
«Non ci conviene abbassarci», commenta la donna mentre la trattativa continua. Si contratta, ma lo scopo è un altro: il clan – commentano i magistrati – sta «solo diplomaticamente prendendo tempo». «Stiamo temporeggiando per cacciarli in bellezza», spiega Silvana Mancuso.
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