LAMEZIA TERME «Gianfranco Ferrante era specie di Banca d’Italia della ‘ndrangheta e dava i soldi a una rete di usurai». Terzo giorno di esame per il collaboratore di giustizia Andrea Mantella il quale, interrogato dal sostituto procuratore Antonio De Bernardo, ha parlato della figura di Gianfranco Ferrante, imprenditore vibonese noto per essere il proprietario del “Cin Cin” bar di Vibo Valentia (locale attualmente sottoposto ad amministrazione giudiziaria). «Ferrante era un broker che dava soldi e la rete d’usura era così vasta che lui era una specie di Banca d’Italia della ‘ndrangheta», ripete in più occasioni Mantella. In questa rete c’erano le cosche del Vibonese dalle quali Ferrante, dice Mantella, raccoglieva i soldi. Ferrante raccoglieva i soldi anche dai Mancuso e poi li dava alla rete di usurai all’interno dei quali Mantella colloca anche il consigliere comunale di Vibo Valentia Antonio Curello (che non è imputato né risulta indagato, ndr) «in rapporti di parentela coi Barba».
Mantella descrive rapporti molto stretti coltivati con Gianfranco Ferrante prima di collaborare con la giustizia. «Quando dovevo comprare la macchina per il figlio del primario della clinica Villa Verde, Ambrosio, l’acquisto se lo sono visto Ferrante e Russo. L’auto costava circa 60mila euro». Non solo. «I Bonavota – racconta Mantella – battevano cassa da Ferrante per avere i soldi per le mie spese legali e per le mie esigenze».
Gianfranco Ferrante i soldi glieli ha dati anche a un certo Giovanni Governa di Lamezia Terme col quale ha fatto una truffa nel settore dei vini e dei veicoli industriali, in accordo con Pantaleone Mancuso “L’ingegnere” e Domenico Ciconte. Giovanni Governa, che non è imputato e non risulta indagato, è stato consigliere comunale di Lamezia Terme nel 1991 (nell’amministrazione che venne sciolta per la prima volta per infiltrazione mafiosa) e per un certo periodo è stato anche collaboratore di giustizia prima di interrompere i rapporti con la magistratura. Secondo Mantella la truffa sarebbe stata messa in atto tra la fine del 2009 e gli inizi del 2010 «e hanno sbancato», commenta il collaboratore.
«Gianfranco Ferrante era legatissimo alla parte diplomatica dei Mancuso guidata da Luigi Mancuso. Io ricordo che Ferrante mi ha detto che con Michele Mancuso si poteva parlare», spiega Mantella secondo il quale erano ingenti le somme versate a Ferrante da Michele Mancuso. Ferrante, afferma il collaboratore, che aveva il bar vicino all’ospedale, teneva sotto usura anche qualche infermiere. «Legati mani e piedi a Ferrante», racconta Mantella, erano anche gli imprenditori Artusa, proprietari di boutique d’abbigliamento nel vibonese e anche a Lamezia Terme.
«Ferrante era funzionale per sostenere la malavita nel Vibonese», dice Mantella. Non solo avrebbe fatto da “Banca d’Italia” per le cosche ma interveniva anche nel veicolare messaggi e nelle estorsioni. «Ferrante veniva usato per veicolare messaggi da me, Pantaleone Mancuso “Scarpuni” e Damiano Vallelunga», dice Mantella specificando che nei messaggi «si parlava di estorsioni e di ‘ndrangheta. Io certo non esercitavo la professione del prete, io esercitavo una professione militare all’interno della ‘ndrangheta». «Ferrante – prosegue Mantella – si prestava a mettere in atto estorsioni per conto mio e di Pantaleone Mancuso “Scarpuni”». In particolare Mantella racconta che Ferrante avrebbe fatto da tramite nel corso dell’estorsione agli imprenditori Zagarella che gestivano una concessionaria Peugeot. Gli Zagarella avevano subito delle intimidazioni. In seguito «qualcuno aveva detto a Zagarella che se voleva sistemare la situazione si doveva rivolgere a Mantella e lo potevano fare tramite Ferrante». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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