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Imponimento, per la Cassazione «gli Stillitani si erano trasformati in imprenditori collusi»

Secondo la Cassazione, i fratelli Stillitani «continuarono ad esaudire le richieste della cosca, richiedendo favori e vantaggi»

Pubblicato il: 01/05/2021 – 11:43
di Giorgio Curcio
Imponimento, per la Cassazione «gli Stillitani si erano trasformati in imprenditori collusi»

LAMEZIA TERME La seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dall’ex assessore regionale, Francescantonio Stillitani, e il fratello Emanuele, attualmente ai domiciliari e accusati di concorso esterno in associazione mafiosa nell’inchiesta “Imponimento” coordinata dalla Dda di Catanzaro. I difensori di Stillitani, Vincenzo Maiello e Vincenzo Ioppoli aveva impugnato il provvedimento del Tribunale del Riesame che aveva appunto confermato la misura dei domiciliari.  In base alle accuse, infatti, condivise dai giudici del merito cautelare, «i fratelli Francescoantonio ed Emanuele Stillitani, imprenditori, da vittime della criminalità organizzata si sarebbero trasformati in imprenditori collusi, concludendo un accordo «sinallagmatico con la cosca mafiosa, produttivo di vantaggi per entrambe le parti».

«Ricorso inammissibile»

Per la Cassazione però il ricorso «è inammissibile». I motivi di ricorso, è scritto nella sentenza, «sono manifestamente infondati perché reiterano in termini generici censure adeguatamente esaminate dal tribunale del riesame». I giudici, inoltre, non contestano che i contratti di guardiania «erano imposti dal clan e che gli atti intimidatori erano posti in essere nei confronti della Valtur, società alla quale i fratelli Stillitani avevano affittato il ramo di azienda». Gli Stillitani, sostengono i giudici, dapprima disinteressati alla vicenda, a seguito delle pressioni del sodalizio si attivarono in maniera dirompente «fino a quando non ottengono la stipulazione (anzi rinnovazione) del contratto di guardiania  alle condizioni desiderate, pur in assenza dei requisiti per prestare il servizio».

Dall’intimidazione al vantaggio imprenditoriale e politico

Secondo la Cassazione, dunque, la contestazione del concorso esterno parte da un presupposto ossia che sino all’arresto di Anello Rocco nel gennaio del 2003 gli Stillitani furono parti lese dell’imposizione perpetrata dal potere mafioso ma che in seguito il rapportò mutò, «continuando ad esaudire le richieste della cosca legate alle attività economiche svolte ma, al contempo, a richiedere e ad accettare favori e vantaggi, in tal modo usufruendo dell’organizzazione per favorire la propria azienda sul mercato». L’ordinanza impugnata, infatti, secondo la Cassazione «non nega che gli Stillitani continuarono ad accettare le  pretese del clan ma afferma che la contropartita non fu soltanto quella di assicurarsi passivamente la sopravvivenza, gravata dagli oneri di protezione, ma di avvantaggiarsi al contempo del sostegno della consorteria, in contesti ben specifici e vitali per gli interessi del ricorrente e del fratello (l’attività imprenditoriale e l’affermazione politica).  Le intimidazioni, a base dell’estorsione contrattuale, «erano rivolte alla Valtur e non agli Stillitani; soprattutto, Tommaso Anello, al vertice della omonima cosca, intercettato, pretese che “lui” (Stillitani Francescantonio), si «occupasse della vicenda», ma non minacciandolo, ma prospettando un suo generale disinteressamento per il futuro, «sì che la pax assicurata agli Stillitani sarebbe venuta meno, ognuno avrebbe provveduto ai fatti propri». 

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