COSENZA «Per la festa del primo Maggio, la rete composta da Approdi, collettivo di lavoratori dello spettacolo e della cultura della Calabria, con il coinvolgimento di altre realtà e associazioni di base dell’area urbana, oltre a singole individualità del territorio regionale, si riappropria simbolicamente del Teatro Rendano di Cosenza. Dopo un anno di incontri, di riflessioni e mobilitazioni dal basso, crediamo sia arrivato il momento di ritrovarsi fisicamente per prendere nuovamente la parola. In risonanza profonda con le lotte che hanno unito le/i lavoratori del settore in tutta Europa, vogliamo proseguire un già ricco percorso di confronto e autodeterminazione, che ci porti ad ottenere diritti e tutele per tutti. Siamo convinti che un teatro debba essere prima di tutto una casa comune, un presidio territoriale, un’agorà cittadina. Da troppo tempo ormai il Teatro Rendano, come gli altri teatri, le biblioteche e gli spazi pubblici della cultura e dell’arte nella nostra città, al di là della contingente crisi pandemica, sembrano aver smesso di assolvere a questa funzione. Abbiamo deciso di restituirgliela. È per questa ragione che convochiamo tutti le/i cittadini, le associazioni, i gruppi, i comitati di base, e le mille e mille soggettività differenti che ancora in questi mesi hanno continuato a tenere viva l’attenzione sulle innumerevoli questioni che costituiscono i nodi comuni del nostro vivere civile, ma anche quei rappresentanti istituzionali – che troppe volte invece sono parsi distratti o inadeguati, o peggio ancora hanno finto di non capire, si sono voltati dall’altra parte, hanno continuato a perseguire il proprio esclusivo interesse specifico a danno delle comunità e delle diverse sensibilità che in esse si agitano – a “passare da qui” nella giornata di oggi, per offrire una testimonianza, dare un contributo, esprimere un gesto di responsabilità; partecipando questo pomeriggio, a partire dalle ore 14,15 a un momento di approfondimento e auto-formazione collettiva a cui sarà possibile intervenire sia in presenza che online.
Il nostro lavoro ha a che fare, a un tempo, con l’invisibile e con lo slancio visionario: da qui vogliamo ripartire per costruire nuove collettività, fare cittadinanza, garantire zone di agibilità per tutti.
È arrivato il momento di creare un sistema che sia in grado di dare luogo a una reale redistribuzione delle risorse, e che dia una continuità di reddito per tutte e tutti, precari, intermittenti, autonomi, al nero, del nostro settore e di tutti gli altri. Vogliamo restituire alla cultura il suo spazio fecondo: la sua funzione di stimolo del pensiero critico, la sua capacità di interpretazione del tempo presente, il suo senso di connessione e cura della comunità. Vogliamo che si fondi su una ricerca slegata dal profitto e dal tempo senza respiro dell’efficienza produttiva. Vogliamo che sia accessibile a tutti. Abbiamo bisogno di meccanismi che agiscano contro le discriminazioni, gli abusi e le disuguaglianze.
Il 26 aprile è la data fissata dal governo per la ripresa delle attività culturali. Siamo di fronte all’ennesima “falsa ripartenza”: gli spazi medi e piccoli continueranno a rimanere chiusi, impossibilitati a sostenere i costi necessari nel rispetto dei numeri ridotti che consentano il distanziamento nelle sale, la maggioranza dei lavoratori non tornerà a lavorare e sarà spinta a una gara al ribasso, e, laddove anche ci fossero le condizioni per una parziale ripresa delle attività, servirà del tempo per la programmazione. Oggi siamo qui per dire che non vogliamo che tutto torni a com’era prima della pandemia, a un sistema fatto di precarietà, sfruttamento e insicurezza, lo diciamo ancora una volta: LA NORMALITA’ ERA IL PROBLEMA! Da questo teatro, che è un simbolo spudorato della trascuratezza e della miopia del potere, oggi prendiamo la parola e ci mettiamo in ascolto, perseguiamo la contaminazione delle lotte e invitiamo la città a farlo con noi, per costruire un discorso collettivo che possa dare spazio a tutti, per immaginare insieme una rinascita delle arti, un proliferare di culture e un mondo più umano. Oggi qui ci riconosciamo, “(…) folla, nell’ignoto che non atterrisce. Gridiamo il grido di poesia. Le nostre barche sono aperte, le navighiamo per tutti”.
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