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«Senza le donne non può esserci ripartenza». Crisi del lavoro e storie di “resistenza”

La pandemia ha accentuato la disparità di genere pesando sull’occupazione femminile. Attraverso tre racconti si indagano cause e prospettive. «Superare gli stereotipi sulle donne calabresi»

Pubblicato il: 01/05/2021 – 12:55
di Francesco Donnici
«Senza le donne non può esserci ripartenza». Crisi del lavoro e storie di “resistenza”

REGGIO CALABRIA Parità, pace e sviluppo affinché “la donna sia aiutata, e nello stesso tempo aiuti sé stessa, ad inserirsi in modo attivo nella società, partecipando ad essa come forza di propulsione e di progresso”. Già nel 1975, Tina Anselmi, partendo dalla “Resistenza”, sosteneva che la rinascita non potesse fermarsi a un momento celebrativo, ma sarebbe stata scandita da un cammino di lotte con le donne al centro di questo percorso. Una riflessione alla quale si potrebbe sovrascrivere la data odierna.
Il peso dell’emergenza è ricaduto in larga parte su donne, giovani e stranieri. Dal rapporto Il marcato del lavoro 2020, lettura integrata pubblicata da Istat in collaborazione col Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Inps, Inail e Antal emergono le diverse facce della crisi: «In Italia, la percentuale di donne (1,3%) che ha perso il lavoro nel 2020 è stata doppia rispetto a quella degli uomini (0,7%)». “Patologie pregresse”, rimaste latenti troppo a lungo: «Il divario occupazionale di genere che si era creato durante il lockdown non è stato colmato nei mesi successivi» e, nello stesso periodo, in termini di nuove assunzioni tra le donne si è registrato un calo del 26,1% contro il -20,7% dei contratti attivati per gli uomini. In termini di reingressi, dal 4 maggio al 30 settembre 2020 sono rientrate nel mercato del lavoro 67mila persone che avevano perso la propria occupazione durante il periodo dal primo febbraio al 3 maggio. «Ma solo il 42,2% delle donne ha goduto di questa possibilità». Numeri destinati ad aumentare se si restringe la lettura al Mezzogiorno.
Affinché la pandemia non diventi un alibi, va sottolineato come non sia l’unica causa, bensì una concausa di queste percentuali. Il fenomeno è più complesso e va decostruito nella sua attuale narrazione affinché se ne possano indagare regioni storiche e prospettive oltre i dati, partendo dalle storie.

«La presenza delle donne nel lavoro e nella politica rimane bassa»

Sabrina Garofalo, centro Women’s Studies “Milly Villa” dell’Unical

«Quando parliamo di Calabria bisogna considerare le singole biografie femminili e il modo in cui vengono raccontate». Sabrina Garofalo è una ricercatrice originaria del Cosentino. Il suo lavoro è incentrato sulle donne, specie calabresi. È componente del centro Womem’s Studies “Milly Villa” dell’Unical, che da oltre trent’anni promuove ricerche sulle tematiche di genere passando dal supporto pratico alle giovani donne dopo la laurea fino alle azioni di sensibilizzazione sul tema.
«Oltre al maggiore precariato e alla tipologia di contratti, va tenuto conto delle attuali caratteristiche mercato del lavoro», ci spiega. «I dati, anche regionali, dicono che persiste una collocazione delle donne come forza lavoro in settori che risentono di una segregazione orizzontale e verticale». Alle donne è precluso o comunque reso più difficile l’accesso alle posizioni apicali.
«Persiste la necessità di mettere in dialogo sfera pubblica e privata, quindi tutto ciò che fa riferimento alla cura e alla gestione degli elementi relazionali all’interno delle famiglie».
Le soluzioni passano da una rilettura sociale e politica del fenomeno. «Benché incrementata negli ultimi tempi, la presenza delle donne, nel lavoro come nella politica rimane comunque bassa. Rispetto al 2017 il numero delle sindache è rimasto invariato quindi non c’è una vera e propria trasformazione» che potrebbe passare «dalle pratiche che differenziano l’agire femminile rispetto a quello maschile». Differenze di approccio che è già possibile apprezzare, ad esempio, in termini di gestione nel mondo della cooperazione e dell’impresa sociale e che «ci permettono di dire, in prospettiva, che un maggiore accesso delle donne alla sfera politica potrebbe tradursi in un apprezzabile cambiamento anche nel mondo del lavoro».

«Bisogna lavorare sugli stereotipi relativi alle donne del Sud»

Temi che si fanno ancor più complessi se si analizza il contesto calabrese. Secondo l’istituto Svimez, nel secondo trimestre 2020, a livello nazionale, è scomparso quasi l’80% del lavoro femminile creato tra il 2008 ed il 2019. «Nelle regioni meridionali – recita il rapporto – l’occupazione femminile persa nel periodo considerato è quasi il doppio di quella creata negli undici anni precedenti (–171mila unità a fronte di +89mila tra il 2008 ed il 2019) con il tasso di occupazione rimasto poco al di sopra dei livelli del 2008».
«Bisogna lavorare sugli stereotipi relativi alle donne del Sud», premette la ricercatrice.
Il lavoro femminile non è più «scelta di sopravvivenza. In Calabria abbiamo una popolazione femminile altamente formata» che soffre il contraltare delle «dinamiche di potere a diverso titolo, sia esso potere maschile o mentalità all’interno delle famiglie». Le donne continuano a subire l’influenza di aspetti individuali. «In alcuni contesti più di altri, tipo quelli di ‘ndrangheta, c’è una prevaricazione indotta dalle aspettative di ruolo: alle donne viene richiesto avere una famiglia, diventare madri e pensare ad un lavoro che possa conciliare tutto questo. In Calabria è più evidente, seppur non generalizzabile». A ciò vanno aggiunti gli effetti disincentivanti delle dinamiche di tipo clientelare e corruttivo per l’accesso al lavoro che «ingenerano mancanza di fiducia, soprattutto nelle donne».
La pandemia ha mostrato alcune soluzioni possibili. Tra queste lo “smart working”. «Se ne parlava già nel 2017, è esploso in virtù della necessaria sovrapposizione tra sfera domestica e lavorativa di questo periodo». Può candidarsi a diventare una modalità di supporto alla parità lavorativa se «gestito in maniera diversa, anche in termini di formazione e accesso al digitale».
In Calabria, il percorso è più articolato. «Qui è necessario legare il mondo del lavoro a quello della cittadinanza: la presenza delle donne nella sfera pubblica, che in Calabria c’è ma ha una visibilità ridotta, potrebbe contribuire ad attivare dei percorsi di trasformazione dei contesti e anche nel mondo del lavoro».

«La mancanza di servizi pesa sull’occupazione femminile»

Celeste Logiacco al campo container della zona industriale di Rosarno

«Senza le donne non può esserci ripartenza». Celeste Logiacco è segretario generale Cgil della Piana di Gioia Tauro, quotidianamente impegnata «al fianco degli ultimi» che in questa zona sono tanti: dagli “invisibili “delle campagne alle donne, italiane e straniere, che inseguono percorsi di autonomia ed emancipazione. «Le donne stanno pagando il prezzo più alto in termini di perdita del posto di lavoro, aumento del part time involontario e calo stipendi. La parità di genere continua ad essere una chimera per molte donne lavoratrici, soprattutto in Calabria, e il Covid ha peggiorato una situazione preesistente, generata dal fallimento delle politiche di condivisione e conciliazione».
Il tasso di occupazione è del 18% più basso rispetto agli uomini e sono part time il 73% delle lavoratrici. Anche per questo, secondo Logiacco, «si rende necessario incentivare l’economia femminile attraverso un accesso privilegiato al credito».
«Troppo spesso – continua – le donne, per conciliare lavoro e vita privata sono costrette ad accettare impieghi per lo più vicini a casa e con flessibilità di orario anche se con retribuzione più bassa». Ricadute indotte dalla mancanza di servizi: «Affrontare questi bisogni significa ridurre i divari di opportunità che favoriscono le discriminazioni sociali e territoriali». Di fatti, il venir meno del lavoro produce anche altri “mostri”. «In questi mesi abbiamo incontrato molte donne divenute ostaggio della disparità e del ricatto. Loro hanno pagato il prezzo più alto di questa crisi». Sono anche le donne vittime di violenza, «esito estremo delle discriminazioni».
Quadro ancor più evidente quando si parla di donne e lavoratrici straniere che risentono delle difficoltà linguistiche e non hanno «conoscenza dei loro diritti, siano essi quelli legati alla maternità fino alla semplice possibilità di prendere una patente di guida».
Rispetto al passato, nella Piana si registra un incremento della popolazione femminile straniera che nel giro di un paio di stagioni è passata da poche unità ad oltre un migliaio. Nella maggior parte dei casi si tratta di giovani donne, maggiormente vulnerabili e spesso prive di un permesso di soggiorno, con un’età compresa tra i 20 e i 40 anni provenienti principalmente dal Ghana e dalla Nigeria e costrette ad attività di prostituzione.
Anche per questo è attivo nella Piana un punto d’ascolto e tutela rivolto alle donne migranti con la volontà di promuovere le politiche di genere e la realizzazione del principio di parità e non discriminazione. Un lavoro che è anche una missione: «Fare la sindacalista vuol dire contribuire a far meglio le cose non accentrandole con rassegnazione» e farlo in Calabria «non è la stessa cosa che farlo in altra regione. Il mio essere donna mi ha aiutato ad affrontare con una sensibilità diversa alcuni temi come quello della parità di genere o dei lavoratori “invisibili”. Il mio essere calabrese mi spinge a pensare una volta in più che il cambiamento di questa terra non possa prescindere dalle sue donne».

Nella storia di Douaa la speranza per il futuro

Quelle di Sabrina Garofalo e Celeste Logiacco sono anche le storie di donne che hanno scelto di restare «non rinunciando a pensare ad un futuro nella terra natìa». Esperienze che sono seme di nuovi racconti che inducono a guardare al futuro con un po’ di speranza in più.
«Questo paese ci ha accolto e sono contenta di poter dare il mio contributo per ricambiare». Douaa Alokla è una giovane donna di origine siriana arrivata a Camini, paesino della Locride, passando per il Libano grazie ad un “corridoio umanitario”. Insieme alla famiglia ha avuto l’opportunità di ricostruirsi una vita sulle macerie generate dal conflitto della terra di origine. Douaa ha vent’anni e frequenta l’Istituto turistico di Gioisa Ionica. Arrivata in Italia ad aprile 2016 ha avuto (dallo scorso anno) l’opportunità di cimentarsi nel mondo del lavoro grazie al progetto “Ama-la” attraverso il quale Camini è risultato vincitore del bando PartecipAzione promosso da Unhcr e Intersos. Nel laboratorio tessile del borgo ha iniziato a collaborare come interprete e mediatrice imparando a scrivere progetti. «Quando sono arrivata volevo continuare i miei studi e fare in modo di realizzare i miei sogni. Non mi aspettavo che avrei fatto quello che sto facendo ora. Mi aspettavo molto di meno». L’accoglienza e la possibilità di integrarsi nel tessuto socio-lavorativo della zona la spingono oggi a vedere un futuro a Camini e in Calabria «nonostante molti, sia rifugiati che italiani, spesso sono costretti a spostarsi per mancanza di lavoro». Le difficoltà iniziali sono state soppiantate dal sorriso che diventa dono anche per le altre donne rifugiate, a volte vittime di tratta o violenze. «Molte vengono da contesti difficili com’era anche la Siria, ma spesso parlo con loro per consolarle facendo sentire che non siamo sole». (redazione@corriercal.it)

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