Con puntuale maniacalità, i media ci informano sulle gesta di coloro che non credono alla pandemia, pensano ad un complotto di poteri occulti, protestano contro le restrizioni. Le idee di costoro sono evidentemente insostenibili: negano i reparti Covid intasati, le rianimazioni sovraesposte, i decorsi complicati anche di persone giovani, le morti; si oppongono pregiudizialmente ai vaccini. Gli oppositori, da parte loro, li bollano come oscurantisti, come gente che non ha fiducia nell’uomo e nella scienza. Pensano che negazionisti e complottisti siano da ridicolizzare, se non anche da punire. A nessuno vien voglia, tuttavia, di comprendere un fenomeno che, in forme più o meno eclatanti, alligna in gran parte della popolazione. Con la conseguenza che si è prodotto il solito steccato manicheo fra buoni e cattivi, fautori del progresso ed oscurantisti, modernisti e passatisti.
Provo a fare un parallelo. Gli ultimi anni della narrazione politica sono stati dominati dall’avvento dei populisti e dei sovranisti. Gente che promette effetti mirabolanti, moltiplicazioni dei pani e dei pesci; e che pensa di poter rinchiudere le nazioni in regimi neo-autarchici, proteggendole con barriere insormontabili. Gli oppositori di questa narrazione, dopo anni di buio, paiono ora aver compreso che il rigurgito populista e sovranista è frutto del vuoto lasciato, nello stomaco della politica, dal ripudio dei temi sociali tipico della sbornia neoliberista degli ultimi decenni. Lo spazio che un tempo era della vecchia socialdemocrazia, insomma, è stato colmato dal populismo e dal sovranismo. È un meccanismo ormai ben noto in politica: ogni vuoto prima o poi si riempie, ogni obliterazione produce il ritorno sotto altre forme di ciò che è stato obliterato. Potremmo allora affermare, parafrasando il titolo di un famoso quadro di Goya: l’uso distorto della ragione genera most
Lo stesso vale per negazionismo e complottismo, in rapporto, questa volta, alla medicina. Gli oppositori del fenomeno, hanno atteggiamenti confusi ed avventati. Ricorderete la sicumera del ministro Speranza sull’ineguagliabile sistema sanitario italiano (che, poco dopo, si scoprì privo perfino dei presidi sanitari minimi per affrontare la pandemia); oppure la certezza del virologo Roberto Burioni sul fatto che il virus non sarebbe mai arrivato in Europa (da lì a pochi giorni dilagò dappertutto); oppure l’affermazione della virologa Maria Rita Gismondo sul fatto che si trattasse di un’influenza come tante altre (subito smentita dalle complicanze polmonari e dalle trombo-embolie); oppure, la convinzione sulla “morte” del virus del rianimatore prof. Alberto Zangrillo (anch’egli smentito dalla nuova ondata autunnale); oppure la sicumera della virologa Ilaria Capua sul fatto che non potesse trattarsi di un virus sfuggito in laboratorio (anche in questo caso messa quantomeno in dubbio dall’ispezione farsa dell’OMS a Wuhan). Senza contare le pressioni sulle agenzie del farmaco per approvare i vaccini, i tentativi di insabbiamento dell’OMS, le figuracce dell’ISS. Questo – e molto altro – ha gettato la gente comune nell’incertezza più assoluta, nella confusione, nella sfiducia e, da ultimo, nel panico.
Il meccanismo è del tutto analogo a quello che abbiamo descritto per la politica. Le istituzioni sanitarie – salvo quelle generosamente impegnate sul campo – anziché rispondere con equilibrio, hanno reagito con spocchia espertista. Come a voler dire:«noi siamo gli iniziati, bevetevi quel che diciamo, tanto non potete capire!». La scienza ha abdicato al suo ruolo pedagogico, barricandosi nell’autoreferenzialità. I non adepti hanno una sola scelta: credere per fede nel progresso della scienza, astenersi dal dubitare, rinunciare a comprendere.
A questo si aggiunga l’abiura della “cura” da parte della medicina. Un tempo il cardine della “cura” era il rapporto emotivo profondo fra medico e paziente, era il trattamento olistico: l’ammalato non è la sua malattia, per cui basta somministrargli un farmaco adatto, ma è “persona” (essere umano) nella sua interezza, con gli squilibri da ricomporre fra corpo e mente, fra individuo, comunità e ambiente. Oggi è esattamente l’opposto. L’atteggiamento “riduttivistico” della medicina moderna (un farmaco per ciascun sintomo) ha di fatto negato l’esigenza sentita da tutti i malati: non essere considerati dei numeri, degli strumenti di pura sperimentazione, dei corpi senz’anima. Chi di noi, recandosi dal medico o in ospedale può affermare di non aver avuto, almeno una volta, questa spiacevole sensazione? Perfino le sale operatorie sono divenute delle catene di montaggio, mentre dovrebbero essere dei luoghi dove si pratica la più alta e grave “religione” della cura: l’entrare col bisturi nel corpo del paziente, il “fargli violenza” (una sorta di sacrificio) in funzione della guarigione.
Negazionismo e complottismo stanno, dunque, alla medicina come populismo e sovranismo stanno alla politica. Entrambi i fenomeni sono, in fondo, tentativi di riempire i vuoti creati dai loro oppositori secondo un identico modus operandi, che è tipico delle società evolute contemporanee: la negazione dei bisogni altrui, la fede nei dogmi, la delegittimazione degli antagonisti e, infine, la creazione di pericolosi vuoti di azione e di senso, che, in qualunque momento, rischiano di essere riempiti da mostri da noi stessi generati.
*Avvocato e scrittore
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