VIBO VALENTIA Un progetto ambizioso, di portata milionaria nel settore del commercio dei prodotti petroliferi ma, in realtà, mai portato a termine. La cosca Mancuso, con la collaborazione dei fratelli D’Amico c’ha provato, tra novembre 2018 e gennaio 2019, con un’idea chiara in testa: realizzare un canale di approvvigionamento di carburante proveniente direttamente dal gruppo petrolifero internazionale “Rompetrol”, da distribuire in particolare nella provincia vibonese con il supporto della cosca, attraverso l’acquisizione di numerose stazioni di servizio a cui apporre il marchio, distribuendo il prodotto su larga scala. Ma non solo. Il progetto prevedeva in seconda battuta anche il coinvolgimento dello stesso gruppo petrolifero nella costruzione di un oleodotto, con annesso deposito costiero, nel territorio del comune di Vibo e, precisamente, nella zona industriale di Porto Salvo. È uno dei dettagli più importanti emersi dall’inchiesta sulle “Petrolmafie”, nel filone condotto dalla Dda della Procura di Catanzaro, e scritta nera su bianco nell’ordinanza firmata dal gip, Valeria Isabella Valenzi.
È il 7 novembre del 2018 quando gli inquirenti iniziano a ricostruire una serie di eventi, grazie alle intercettazioni, che portano dritto all’affare petrolifero con i kazaki, a capo di un gruppo internazionale. Come ad esempio la prima telefonata captata tra Silvana Mancuso e Antonio D’Amico, in cui la nipote del boss, Luigi Mancuso, chiede un incontro “urgente” in una famosa pasticceria di Vibo, in quanto – è scritto nell’ordinanza – alcune persone di nazionalità straniera, accompagnate da interpreti di lingua inglese e francese, sarebbero “venute” dal 20 a al 24 novembre per discutere con loro i dettagli relativi ad un presunto interesse di questi per impiantare una “raffineria della nafta”.
«(…) ci prepariamo prima per quello che ti dicevo io, per quei terreni che ci sono (…) abbiamo la possibilità e prospettiamo il tutto», risponde D’Amico. Un chiaro riferimento, secondo gli inquirenti, al progetto ambizioso del gruppo. I contatti nei giorni seguenti si fanno più intensi. Silvana Mancuso, infatti, l’8 novembre, verrà contattata da una tale “Irina”. Dal dialogo captato, gli inquirenti capiscono che la donna, poi identificata in Irina Paduret, presenzierà al tanto atteso incontro per la realizzazione della raffineria di carburante. Ad entrare in gioco c’è anche un’altra figura, quella di Francesco Saverio Porretta, mentre l’incontro sarebbe stato posticipato di qualche giorno, tra il 26 e il 29 novembre. Paduret e Porretta sono di fatto due broker milanesi, emissari che fungono da anello di collegamento tra gli emissari della Rompetrol e la cosca Mancuso.
«(…) si sbilancia … hanno detto che vogliono fare una raffineria… quel giorno insisteva e voltava… gli abbiamo detto che qui raffinerie non ce ne sono (…) però dice che lo vogliono fare… allora gli dici noi abbiamo la possibilità..». È il dialogo intercettato tra i fratelli D’Amico poco prima di un incontro chiesto da Silvana Mancuso, che avverrà la mattina del 12 novembre 2018. «Per quanto riguarda la documentazione.. io li, avevo fatto già uno studio del caso.. dove già c’è la progettazione di massima…ho un computo metrico.. ho una progettazione dei venti e dei fondali marini..», è quanto afferma Giuseppe D’Amico nel corso dell’incontro, captato dagli inquirenti. Un progetto ancora in fase embrionale, dunque, ma c’era da avvisare “lo zio”, ovvero il boss Luigi Mancuso, ancora all’oscuro di tutto. «Me la sto vedendo io – dice la nipote Silvana – io sono il portavoce, però mio zio ancora non sa niente». E così Giuseppe D’Amico precisa subito la sua posizione: «…se caso mai domani mi chiama e mi dice “ma tu non mi hai detto niente” gli dico “è vero, è venuta la nipote vostra.. e quello che non vi ha detto ve lo devo dire io?». Silvana Mancuso, però, prima di avvisare lo zio-boss, era intenzionata a verificare la serietà degli imprenditori esteri: «Se sappiamo giocarcela io parlo… perché prima voglio la concretezza, che vengano qua».
«Che noi siamo gli unici a Vibo lo sai, no? Che non si può fare da nessuna parte..». È ancora Silvana Mancuso, quasi a voler motivare Giuseppe D’Amico, a discutere dell’organizzazione del prossimo incontro con gli investitori esteri. «(…) li portiamo a Vibo Marina e gli facciamo vedere la zona… dove dovrà nascere.. dove c’è quel progetto (…) qui stiamo parlando di cento milioni di euro no di mille lire!». Sono giorni intensi, fatti di incontri tra i D’Amico, la Mancuso ma anche Antonio Prenesti, Porretta e Irina Paduret, nella sede della DR Service dei fratelli D’Amico. La visione comune era che la controparte kazaka venisse direttamente in Calabria per visionare in prima persona il territorio vibonese, ed è stato proprio Porretta ad indicare una data approssimativa tra il 9 e il 12 dicembre. Intanto l’1 e il 2 dicembre 2018 si ritrovano tutti a pranzo. Nel secondo appuntamento partecipa addirittura il boss Luigi Mancuso e sua moglie.
«Zio Luigi ha detto che dobbiamo parlare totalmente noi per creare… di tutto». Un messaggio chiaro quello di Giuseppe D’Amico inviato ad Antonio Prenesti. Nel dialogo intercettato dagli inquirenti, è poi D’Amico a riferire che Mancuso “là sotto”, avesse preso le sue parti, riferendogli che la nipote Silvana lo aveva cercato per chiedergli delle scuse. Da parte sua Prenesti riferisce di essersi fatto portavoce con il boss di Limbadi proprio perché Silvana Mancuso venisse messa da parte nella trattativa. La donna era infatti accusata di aver trattato l’affare in maniera troppo superficiale e, soprattutto, di non aver raccontato nulla allo zio. «Quando lui è venuto a Milano – racconta Prenesti a D’Amico – lui non lo sapeva il fatto (…) si gira in una volta e mi dice “eh cos’è questa cosa” no niente gli ho detto io.. Silvana non vi ha detto niente.. no ha detto nooo!”». La figura di Silvana Mancuso, dunque, è considerata scomoda mentre è proprio lei a lamentarsi negli uffici della DR Service dei due broker milanesi «vogliono fare loro la società, perché passi tutto dalla… di loro… e loro gestiscono a te… stai attento». Giuseppe D’Amico però la rassicura, illustrandole l’ipotesi della suddivisione eventuale delle quote al 50% dove, per la sponda calabrese, la gestione sarebbe passata per le mani di D’Amico e Gaetano Molino, mentre con i milanesi avrebbe trattato Antonio Prenesti, così come aveva chiesto Luigi Mancuso. L’idea di D’Amico, infatti, era quella di chiedere a Porretta di farsi cedere dai kazaki una piccola quota della loro metà, in modo da diventare nei fatti l’ago della bilancia, facendola pendere ovviamente verso i Mancuso, ad una condizione: «(…) guarda Francesco, ti parlo chiaro (…) se io mi convinco che Francesco mi ha voluto fottere…se mi devo mettere in testa che lo devo fottere… lo devo distruggere».
Un altro tassello importante dell’affare era l’assoluta necessità che i Kazaki non comparissero. È Porretta a ricordarlo a D’Amico mentre la mattina del 18 gennaio 2019 si trovano in auto, diretti al pranzo organizzato con gli investitori e lo zio Luigi Mancuso. Gli investitori, infatti, non potevano operare nel mercato italiano a seguito degli accordi commerciali che gli vietavano di fornire direttamente prodotti petroliferi in Italia. Intanto, alle 10.30, i Ros dei carabinieri di Catanzaro avvistano Porretta in compagnia di Arman Magzumov e Larisa Van Sluiis, all’uscita dell’aeroporto di Lamezia Terme. Tutti si ritroveranno poi poco prima delle 13.
A pranzo ci sono tutti: il boss Luigi Mancuso, ma anche Antonio Prenesti, Gaetano Molino e Pasquale Gallone, oltre ovviamente a Porretta, D’Amico e i due ospiti, Magzumov e Van Sluiis, con il primo che si presenta come rappresentante del gruppo KazMunayGas per l’Europa. Tutto verrà intercettato dagli inquirenti. I commensali, dopo aver argomentato ampiamente della possibile commercializzazione all’estero di prodotti tipici vibonesi, passano all’affare petrolifero. Arman specificava quindi che, per l’attuazione del vasto progetto petrolifero, la “Rompetrol” necessitava ovviamente di un partner strutturato, già affermato nel mercato italiano, dotato di depositi e distributori per creare una joint venture. Una partnership che costituirà un ostacolo alla realizzazione dell’ambizioso progetto. Secondo l’ospite kazako, infatti, la joint venture doveva essere istituita in proporzione alle forze economiche e strutturali che le singole società aderenti. Ma D’Amico, consapevole che la sua DR Service non aveva i mezzi per poter competere strutturalmente con la Rompetrol, puntava invece sulla necessità della società romena di trovare un partner in Italia. Una lunga trattativa, durata per tutta la giornata, con D’Amico pronto anche a chiudere un accordo commerciale che avrebbe garantito l’approvvigionamento di carburante per la DR Service nel porto di Livorno. «Se ci interessa – sentenzia il boss Luigi Mancuso – noi qui siamo… noi la materia prima vogliamo… quindi..». Un affare quasi impossibile per via dell’embargo imposto alla Russia ma Mancuso, prima di lasciare il locale, dice a D’Amico: «: beh… fagli i conti che tu… e loro…». Ma nonostante l’impegno e le dure trattative, l’ambizioso progetto imprenditoriale non si concretizza principalmente per via delle sostanziali diversità esistenti, in termini di dimensioni strutturali e commerciali tra lo DR Service e lo Rompetrol, oltre che per una mancata intesa sui prezzi di approvvigionamento del prodotto. (redazione@corrierecal.it)
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