CATANZARO La misura degli arresti domiciliari l’hanno eseguita quegli stessi militari insieme ai quali aveva lavorato e ai quali aveva carpito i segreti delle indagini prima di diventare oggetto dell’inchiesta egli stesso.
Francesco Cardamone, 40 anni, carabiniere, appuntato scelto in servizio alla Stazione di Sant’Eufemia, è accusato di rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio, accesso abusivo a un sistema informatico e telematico e concorso esterno in associazione mafiosa. Per un certo periodo di tempo (da gennaio a giugno 2018) ha collaborato prevalentemente con la sezione operativa del Norm della Compagnia di Lamezia Terme. È stato nel corso di questa parentesi al Nucleo operativo radiomobile che Cardamone avrebbe commesso grossi illeciti. Infatti al Norm di Lamezia Terme, è scritto nei brogliacci dell’inchiesta Alibante, «veniva anche impegnato nello svolgimento di attività tecniche intercettive per le quali aveva libero accesso alla sala intercettazione del Gruppo carabinieri di Lamezia Terme, utilizzata (all’epoca) sia per le attività tecniche del Nucleo Investigativo (che svolgeva le indagini sul conto del Bagalà) che per quelle della citata sezione operativa».
Cardamone, che, come hanno accertato le indagini, vantava i rapporti di parentela con il capocosca Carmelo Bagalà – dal quale aveva ottenuto un proficuo appoggio elettorale nel 2018 divenendo vicesindaco del Comune di Nocera Terinese – si era accorto per caso che le indagini vertevano sulla cosca attiva nel proprio Comune e a Falerna: aveva notato un collega che visionava le immagini di una telecamera che i carabinieri del Nucleo investigativo della Compagnia di Lamezia Terme avevano piazzato sulla stazione dei carburanti Esso di Falerna, dove avvenivano gli incontri tra Bagalà e suoi uomini. Qualche mese dopo, a novembre 2018, i gestori della pompa di benzina, Mario e Alessandro Gallo, padre e figlio, indagati in questo procedimento con l’accusa di associazione mafiosa, scoprono dov’è piazzata la telecamera. Per un attimo si guardano, da una parte Mario Gallo con un binocolo e dall’altra i carabinieri. Poi accade che «in quel preciso frangente – è scritto nell’ordinanza – nel sito in cui era occultata la videocamera si sprigionava un incendio, appiccato da terzi soggetti non meglio identificati con l’intenzione di distruggere l’apparecchiatura». A questo punto i sospetti dei militari su chi avrebbe potuto rivelare la presenza della telecamera ricadono sul collega Cardamone.
Qualche mese prima dell’incendio, ad agosto 2018, Bagalà aveva rivelato al suo fidato Alfredo Carnevale di essere venuto a conoscenza, tramite il fratello di un ragazzo che lavorava a Sant’Eufemia, che erano in corso indagini di polizia giudiziaria su di lui e su Pasquale Motta.
Non solo. I carabinieri verificano che dalla Stazione dei carabinieri di Lamezia Terme Sant’Eufemia dove Cardamone prestava servizio, erano state effettate tre interrogazioni in banca dati. Formalmente le interrogazioni le avrebbe effettuate coi propri dati Vitaliano Costantinopoli, all’epoca comandante pro tempore della Stazione. La prima “spiata” era stata effettuata al luglio 2017 sul conto di Vittorio Macchione e di sua figlia Rossella. Vittorio Macchione è accusato di associazione mafiosa, è un architetto e, secondo l’accusa, è un «professionista/imprenditore organico alla cosca Bagalà, in ambito associativo ricopriva il ruolo di prestanome (storico) del sodalizio mafioso, intestatario fittizio di beni immobili riconducibili alla stessa tramite numerose società di comodo costituite negli anni».
La seconda interrogazione risale ad agosto 2017 sempre sulle stesse persone e la terza a marzo 2018, un incrocio di dati su Macchione e Carmelo Bagalà. Il comandante della Stazione aveva dichiarato che, non avendo dimestichezza con gli strumenti informatici, aveva dato le proprie credenziali di accesso ai suoi militari. Andando più a fondo con le indagini i carabinieri del Nucleo investigativo avevano scoperto che in due occasioni l’accesso alla banca dati era stato effettuato nell’arco di tempo in cui Cardamone era l’unico militare in servizio.
Un anno dopo queste verifiche sulla banca dati, si presenta davanti ai militari della Compagnai di Lamezia Terme un vice brigadiere in servizio alla Stazione di Nocera Terinese. È preoccupato perché ha acquistato casa da Vittorio Macchione e porta con sé le carte dell’acquisto dell’abitazione. Dice di essere a conoscenza delle indagini da un collega che lo aveva saputo da Francesco Cardamone.
Secondo il giudice per le indagini preliminari «sussistono gravi indizi di colpevolezza, a carico del Cardamone, per tutte e tre le ipotesi di reato contestate».
«In altri termini – scrive il gip – la condotta del Cardamone, volta a prestare ausilio ad un soggetto operante in un ambito territoriale in cui risulta diffusa la sua notorietà criminale di ‘ndranghetista, nella specie Carmelo Bagalà, si è risolta, da un lato, in un ausilio prestato non solo in favore del vertice della consorteria criminale ma di tutto il sodalizio in quanto tale, la cui operatività sarebbe stata certamente compromessa dall’arresto del vertice associativo (non esistendo altri sodali di spessore criminale anche solo comparabile), determinando, in tal modo, un rafforzamento dell’egemonia criminale della cellula criminale del Bagalà in quel territorio; dall’altro, sotto il profilo soggettivo, la condotta, in quanto consapevolmente prestata in favore del capo riconosciuto, risulta sorretta dall’intenzione di favorire anche l’associazione. Ed allora, se così stanno le cose, appare evidente che lo scopo perseguito dal Cardamone per il tramite della predetta condotta illecita fosse quello di contribuire all’attività di un’associazione operante in un contesto di matrice mafiosa». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
x
x