CATANZARO Per la Dda di Catanzaro è un «concorrente “esterno”» della cosca Bagalà. Pasquale Motta, ex sindaco di Nocera Terinese e direttore del network “LaC”, «pur non potendosi ritenere inserito stabilmente nella struttura organizzativa» del clan, «di fatto svolgeva in maniera preponderante la funzione di referente politico del boss Carmelo Bagalà». Assieme a Bagalà, Motta, che risulta indagato nell’operazione Alibante, avrebbe «condiviso e programmato la predisposizione della lista “Unità popolare nocerese”, sfruttando sia il bagaglio relazionale legato al fatto di essere stato ex sindaco di Nocera Terinese, sia il legame particolarmente forte con Luigi Ferlaino». Con Ferlaino (altro ex primo cittadino di Nocera) e Bagalà, il giornalista «risultava essere lo stratega occulto delle trame della politica di Nocera Terinese, leader politico sostanziale della lista civica “Unità popolare nocerese”». Per lui l’accusa aveva chiesto l’arresto, misura negata dal gip.
Questa lista è il cuore pulsante del troncone politico dell’inchiesta. Perché sarebbe stata «ideata e strutturata per l’infiltrazione, o meglio per preservare l’infiltrazione del clan nell’amministrazione comunale, individuando in Massimo Pandolfo il “volto pulito” da fare eleggere a sindaco».
Motta avrebbe anche avuto il compito di «procacciare i voti necessari» e veicolato «la riferibilità della lista in questione al boss Carmelo Bagalà, con piena consapevolezza della sua caratura ‘ndranghetistica e condivisione di scopi». E avrebbe anche fornito «costanti aggiornamenti sull’evoluzione della campagna elettorale e degli scenari politici in vista delle elezioni amministrative nel Comune di Nocera Terinese». La lista civica, in sostanza, sarebbe stata «a disposizione dell’organizzazione mafiosa con la quale condivideva cointeressenze e finalità illecite».
L’ex sindaco era però incandidabile e, dunque, avrebbe individuato, «usandolo come schermo per perseguite i suddetti fini e contribuire a gestire in modo “occulto” l’amministrazione favorendo anche gli interessi del sodalizio criminale», Massimo Pandolfo come «figura politica “pulita” da candidare a sindaco».
Pandolfo si dimise nell’agosto 2018, un paio di mesi dopo l’elezione, parlando di «difficoltà a far ripartire “il motore” di questa complessa macchina amministrativa» e di «forte malessere psicologico» in riferimento al proprio impegno come sindaco.
La sua campagna elettorale, secondo i magistrati antimafia, sarebbe stata condotta attraverso altri «soggetti indagati», due dei quali – Rosario Aragona e Salvatore Grandinetti – sarebbero successivamente entrati in consiglio comunale.
Al «condizionamento elettorale da parte di Pasquale Motta» si fa riferimento nell’ordinanza di custodia cautelare. Spiegando che «la riprova che la lista in questione fosse riconducibile» al giornalista «si aveva da molteplici intercettazioni: a titolo puramente esemplificativo, Carmelo Bagalà, dialogando delle imminenti elezioni e della lista presentata da Massimo Pandolfo, affermava “Pasquale vince sicuro”, con ciò certificando chi fosse il vero regista della competizione elettorale».
Nel percorso politico tracciato in maniera “occulta” arriva un fuori programma: le dimissioni di Pandolfo. Il sindaco avrebbe rifiutato di conferire un incarico esterno a un candidato non eletto, «entrando in forte contrasto con Pasquale Motta» e, come se non bastasse, avrebbe deciso «di portare a esecuzione la sentenza di condanna per danno erariale emessa nei confronti di Luigi Ferlaino per l’importo di oltre 250mila euro». Troppe pressioni per il primo cittadino, che sceglie di lasciare. Quello stesso giorno, «Carmelo Bagalà veniva portato a conoscenza delle intervenute dimissioni da parte di Massimo Pandolfo, e subito esortava Russo Saverio a formare una nuova coalizione in vista delle future elezioni al fine di evitare la possibile elezione di Fernanda Gigliotti», nemico politico individuato dalla cosca.
Per il gip, che nega l’assenso alla richiesta cautelare avanzata per Pasquale Motta, mancherebbe la «dolosa sinergia in campagna elettorale» tra il direttore de “LaC” e il boss Bagalà. Il giudice per le indagini preliminari spiega infatti che «Motta risultava essersi accordato con Luigi Ferlaino al fine di pilotare le competizioni elettorali in maniera del tutto autonoma e indipendente rispetto a Carmelo Bagalà, del cui intervento in campagna elettorale sembrava comunque essere a conoscenza». Motta voleva «continuare a ingerirsi in maniera occulta nell’amministrazione comunale non potendo più candidarsi in prima persona, essendo oramai “bruciato” politicamente», ma Bagalà «non risulta essersi mosso in sinergia (e neppure in accordo) con Pasquale Motta, gestendo in prima persona i nomi dei suoi candidati che avrebbero dovuto fargli da referenti presso il Comune». I due “gestivano” la stessa lista, ma da posizioni diverse. Tant’è che, in una delle intercettazioni segnalate dal giudice, «Carmelo Bagalà ha dichiarato di non parlare con Pasquale Motta da anni». E tuttavia «Motta era perfettamente consapevole dell’interferenza di Bagalà all’interno della propria lista e del conseguente appoggio elettorale operato nei confronti di alcune persone in essa candidate». In punta di diritto, «la condotta del concorrente esterno, per essere punibile, deve, infatti, essere sostenuta dalla rappresentazione e accettazione del nesso funzionale tra la propria azione e il raggiungimento degli scopi dell’associazione. Nella specie, non sussistono elementi validi per ritenere tale elemento, con conseguente reiezione della richiesta cautelare per tale posizione». (p.petrasso@corrierecal.it)
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