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Rinascita, Mantella e i racconti di calcio e ‘ndrangheta

Il collaboratore racconta gli interessi delle cosche per la Vibonese Calcio. I soci occulti della Vibo Calcestruzzi e le «dichiarazioni di comodo» di Peppe Scriva

Pubblicato il: 04/05/2021 – 20:41
di Alessia Truzzolillo
Rinascita, Mantella e i racconti di calcio e ‘ndrangheta

LAMEZIA TERME «La Vibo Calcestruzzi nacque coi soldi della criminalità vibonese e nel periodo in cui Piromalli e Molè erano una cosa sola». Il collaboratore di giustizia Andrea Mantella collegato con l’aula bunker di Lamezia Terme nel corso del processo Rinascita-Scott, oggi ha approfondito alcuni temi che nei suoi primi verbali aveva affrontato già qualche anno fa. Uno di questi è proprio la nascita della Vibo Calcestruzzi nella quale Mantella cita come «soci occulti» Antonio Mancuso, Domenico Russo per i Piromalli, Enzo Barba, Rosario Fiarè, Francesco Michele Patania e Carmelo Lo Bianco. Mantella li definisce «imprenditori mafiosi», espressione che rimarca perché sottolinea come alcuni di loro li avesse portati in copiata durante i battezzi di mafia e «Carmelo Lo Bianco era il mio capo».
Chi compariva formalmente nella società?, chiede il sostituto procuratore Antonio De Bernardo.
«Compariva Carmelo Fuscà che era anche presidente della Vibonese Calcio», racconta il collaboratore. 

Fiumi di cemento a Gioia Tauro

Mantella spiega che la Vibo Calcestruzzi aveva acquisito il monopolio nel settore e che nel periodo in cui era attiva «hanno scaricato fiumi di cemento nel porto di Gioia Tauro». Non solo. Nella società lavorava come ragioniere il fratello di Paolino Lo Bianco e ci lavorava anche il padre di Domenico Pardea, esponenti apicali nelle rispettive cosche.
Poi la società è stata ceduta a Salvatore Mazzei di Lamezia Terme, «altra persona paramafiosa», dice Andrea Mantella il quale ricorda che il periodo della cessione dovesse essere intorno al 2005/2006. Le notizie sulla società le apprese, racconta, all’interno della famiglia Lo Bianco «perché – ribadisce – io vivevo all’interno della famiglia Lo Bianco».

La Vibonese Calcio e le combine

Anche dietro alla Vibonese Calcio c’erano soci occulti. «Erano Antonio Mancuso, Enzo Barba e Carmelo Lo Bianco», racconta Mantella il quale ebbe modi di parlare dell’interesse che la criminalità aveva nel calcio in carcere dove conobbe Annunziato Bruzzaniti, nipote di Morabito “Tiradritto”. «All’epoca Francesco Michele Patania detto “Ciccio Bello” voleva aggiustare una partita con la Locri Calcio perché voleva che la Vibonese andasse in promozione». Mantella ricorda che in quel periodo dovettero venire a patti con i Cordì, che stavano coi Marcianò, e avevano interessi nella Locri Calcio.
«Altra partita da aggiustare fu col Castrovillari», dice il collaboratore che ricorda che la “combine” portò a un incontro col boss Antonio Di Dieco, poi divenuto collaboratore di giustizia.
Squadre locali e cosche riemergono nei racconti di Andrea Mantella. Ma perché la criminalità era così interessata alla Vibonese Calcio?, chiede De Bernardo.
«Per prendere visibilità – dice Mantella –, perché la squadra di calcio è una vetrina, per avere consensi elettorali, pubblicità, per uscire dall’oblio di quella mentalità pastorizia. Se non si comprende questo… dove si va…». In seguito «la presidenza della Vibonese venne ceduta a Pippo Caffo, quello dell’Amaro del Capo», dice Mantella. Cè da specificare, per dovere di cronaca, che Carmelo Fuscà, Salvatore Mazzei, Pippo Caffo, Domenico Russo e Antonio Mancuso non sono imputati in questo procedimento.

Le dichiarazioni di comodo di Giuseppe Scriva

«Giuseppe Scriva è una signore che fu collaboratore di giustizia ma ha fatto solo dichiarazioni di comodo». Non risparmia niente e nessuno Andrea Mantella. Il pm chiede di approfondire l’argomento sulla figura di Scriva e Mantella racconta che «era il prestanome su Roma di Saverio Razionale (boss di San Gregorio D’Ippona, ndr). Il trucco che usava Razionale era quello di fare intestazioni fittizie di beni a Scriva al quale gli inquirenti non sarebbero arrivati perché lui faceva il collaboratore». Ma cosa poteva dire Scriva che non ha mai raccontato?
«Scriva poteva raccontare del traffico di droga con i Campisi. Aveva amicizie importanti con Mimmo Campisi, Pantaleone Mancuso detto “L’ingegnere”, con Pino Barba. Non digeriva i Lo Bianco ma su di loro ha fatto solo accenni. Ha fatto solo accenni si Fiamingo che è stato condannato per usura», racconta Mantella il quale afferma che in realtà Scriva «faceva attività usuraia coi soldi di Pantaleone Mancuso “L’ingegnere” e dei Campisi».

Lo “strappo” dai Lo Bianco e la benedizione di Damiano Vallelunga

«Io ero all’apice del mio gruppo e sono rimasto all’apice fino a un secondo prima di accendere il registratore». Poche, chiare parole che rimandano alla scissione di Andrea Mantella dalla consorteria Lo Bianco-Barba e alla creazione di un gruppo autonomo da lui fondato che ha cominciato a farsi largo a Vibo presentando se stesso alla città con una serie di atti intimidatori nei confronti delle imprese e attività commerciali. Qualche motivo di acredine Mantella ritiene di averlo avuto coi Lo Bianco: «Quando ero a Villa Verde i Lo Bianco non mi avevano mandato i soldi delle estorsioni, circa 70mila euro». La città esplode sotto i colpi degli atti intimidatori tanto che un giornale locale parla di “Vibo come Baghdad”. Con questo giornale si presentano Enzo Barba, detto “Il musichiere” e Carmelo Lo Bianco “Piccinni” dal boss di Serra San Bruno Damiano Vallelunga chiedendo che intercedesse con Mantella per farlo recedere dai propositi scissionisti. In quello stesso periodo Mantella si recò da Vallelunga (il boss verrà ucciso a Riace nel 2009, ndr) anche Mantella. Il collaboratore ricorda che doveva essere circa il 2003 perché c’erano le elezioni provinciali e lui chiedeva sostegno per Saverio Mancini, figlio di Peppino Mancini dell’Hotel 501, che si era candidato con Forza Italia (ma non verrà eletto, ndr). «Vallelunga noi lo consideravamo il papa della ‘ndrangheta – dice Mantella – e lui mi sponsorizzò».
Alla fine i Lo Bianco e Mantella vennero in qualche modo a patti. «Non dovevo fare danneggiamenti a quelli a cui loro facevano estorsione. Carmelo Lo Bianco mi chiese di non dare fastidio alla profumeria Squillace e all’imprenditore Santo Lico». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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