COSENZA Mariangela Colonnese, 34enne originaria di Longobardi deceduta, nell’agosto del 2020 insieme al bambino che portava in grembo al sesto mese di gravidanza, poteva salvarsi. Lo mettono nero su bianco i dottori Bernardo Cavalcanti e Vanni Vercillo a cui è stato affidato il compito di effettuare l’esame autoptico sul corpo della donna e sul feto. La consulenza tecnica è stata affidata, invece, al professore Costantino de Carlo. Sulla morte della donna, deceduta nel reparto di ginecologia dell’Annunciata di Cosenza era stata avviata un’indagine: l’accertamento delle responsabilità penali affidato alla procura diretta da Mario Spagnuolo, che oltre al sequestro della salma aveva disposto anche l’acquisizione della cartella clinica della vittima. Il pm Emanuel Greco aveva iscritto nel registro degli indagati 11 persone, professionisti che a vario titolo hanno avuto in cura la donna: un atto a loro garanzia considerato che l’autopsia è un accertamento irripetibile.
A denunciare il caso alla Questura di Cosenza è stato il marito della donna che nel circostanziare l’ultima travagliata settimana della moglie, nell’esposto redatto con il supporto legale dell’avvocato Fiorella Bozzarello, ha raccontato dei malesseri della vittima, delle dimissioni dopo un breve ricovero e dell’ultima disperata corsa in ospedale. Da un lato il lavoro degli inquirenti dall’altro quello del personale sanitario. Tante le domande a cui dare risposta. Perché, ad esempio, si è deciso di dimettere una donna al sesto mese di gravidanza giunta al Pronto Soccorso con forti dolori addominali, dissenteria e vomito? Dolori talmente lancinanti da costringerla a tornare due giorni dopo in ospedale, dove poi la situazione è precipitata, fino al tragico epilogo.
Dall’anamnesi al racconto dei mesi di gravidanza, i dottori chiamati a fare chiarezza sulle cause della morte della Colonnese parlano di «una tenace aderenza che esercitava un cingolo occludente su un segmento di intestino tenue, sede di un pregresso intervento di appendicectomia». Nella denuncia-querela, la Colonnese «aveva avvertito una sintomatologia addominale associata ad episodi di vomito e diarrea» e per questo il 12 agosto 2020 aveva deciso di raggiungere il pronto soccorso dell’Ospedale Annunziata di Cosenza. «Tale evidenza clinica – scrivono i dottori nel rapporto post autopsia – sarà la prima evidenza clinica della patologia che la condurrà a morte». Nel caso del primo intervento del medico in servizio presso l’ospedale bruzio e che prese in cura la Colonnese, «la condotta del sanitario appare corretta e diligente». Una settimana dopo, la donna colpita dai soliti dolori addominali accompagnati da vomito e diarrea, si reca nuovamente in ospedale a Cosenza. «I vomiti tardivi sono quasi sempre legati ad una malattia organica, soprattutto quando hanno tendenza a ripetersi» e nelle cure, in questo caso, «la condotta del personale sanitario del turno notturno che rimase inattivo mentre la paziente vomitava e non allertò i ginecologi di guardia non è condivisibile e appare connotata da profili di responsabilità per negligenza, imprudenza e imperizia». L’esame autoptico «ha consentito di rilevare che la nausea e il vomito erano sostenuti da una causa organica, un’ernia interna costituita da aderenze formatesi, quando la paziente era affetta da appendicite acuta. La condizione risalente all’operazione era stata modificata dalle alterazioni intra addominali indotte dall’aumento di volume dell’utero gravidico». Secondo chi ha effettuato l’esame autoptico, «una tempestiva consulenza chirurgica e il posizionamento del sondino naso gastrico avrebbero indotto ad eseguire un esame dell’addome e l’esecuzione di un intervento risolutivo». Insomma, un corretto e pronto intervento avrebbe evitato l’arresto cardiaco e la conseguente morte di Mariangela Colonnese e del feto, dichiarate alle 21:05 del 20 agosto 2020.
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