Martedì 9 maggio 1978 ore 9. Le brigate rosse telefonano a Franco Tritto, uno dei più giovani assistenti del professore Aldo Moro, un amico, anche di famiglia.
“È il professore Franco Tritto?” E Tritto: “Chi parla?” ….” Ma io voglio sapere chi parla.” Dall’altro lato della cornetta: “ Brigate rosse. Ha capito?” “ Si “, rispose il povero Franco. E cosi la voce delle Br continuò “Adempiamo alle ultime volontà del Presidente comunicando alla famiglia dove potrà trovare il corpo dell’on. Aldo Moro. Mi sente?”. E Tritto attonito:” Che devo fare? Se può ripetere …..Non posso ripetere, guardi. Allora, lei deve comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell’on. Aldo Moro in Via Caetani. Via Caetani. Lì c’è una Renault 4 rossa. I primi numeri di targa sono N 5… .”
È una telefonata drammatica, che rispecchia le ansie, le attese e il generale clima del Paese, interrotta dal pianto a singhiozzi, disperato, incredulo di Franco Tritto che, nell’impossibilità di continuare a parlare, passa la cornetta al padre. E’ la telefonata che conclude i cinquantacinque giorni più lunghi dell’Italia e che segna la fine della Prima Repubblica. E il luogo in cui viene parcheggiata la Renault con il corpo di Moro non è casuale. La piccola strada inizia da via delle Botteghe oscure, dove ha la sede il Partito Comunista Italiano ed è collocata dietro Piazza del Gesù, dove la Democrazia Cristiana ha la sede. Quella delle Br è una sfida di grande livello. Un colpo al cuore dei Partiti più grandi ed importanti della nazione: Dc e PCI, che in quei giorni avevano deciso di costituire assieme il Governo di Solidarietà nazionale, rompendo così con i riferimenti tradizionali: l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti d’America. Paradossalmente, per non pochi motivi, la sconfitta politica del terrorismo rosso cominciò con la vittoria della “geometrica potenza” messa in campo a via Fani.
Nella stessa giornata, a Piazza del Gesù, per la stessa ora, il Segretario Politico della Democrazia Cristiana Benigno Zaccagnini aveva convocato la Direzione nazionale, su sollecitazione di Amintore Fanfani. Sembrerebbe che in quella sede il senatore Fanfani, sostenuto, in particolare, dai dorotei di Toni Bisaglia e da Carlo Donat Cattin, avrebbe fatto una apertura alle Br. Mario Moretti con una telefonata alla famiglia Moro il 30 aprile aveva sollecitato un intervento “immediato e chiarificatore” della Democrazia Cristiana che permettesse di trovare una via d’uscita accettabile per le Brigate Rosse senza uccidere il sequestrato. Il tentativo di Fanfani, avrebbe sicuramente modificato gli orientamenti precedentemente assunti dalla Democrazia Cristiana e messo a dura prova l’unitarietà delle Br nella gestione del sequestro. A conferma di questa ipotesi successivamente si é appreso che tra Moretti e gli inseparabili Faranda e Morucci si erano manifestati significativi contrasti. La posizione di Fanfani trovava, inoltre, sponda nella convinzione maturata dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone che allo stesso Zaccagnini aveva manifestato dubbi sulla linea della fermezza. E’ noto che il Presidente Leone avrebbe fatto predisporre, di sua autonoma iniziativa, un provvedimento di grazia per Paola Beruschio, terrorista presente nella lista dei “tredici prigionieri” predisposta dalle Br. Grazia che non fu mai concessa per la drammaticità di quel 9 maggio. Il ”passo avanti” che la Direzione della DC stava per compiere non avrebbe probabilmente sortito alcun effetto. Ma Mario Moretti, che era il capo della colonna romana delle Br ed il responsabile della gestione del sequestro, non si sa se informato e da chi, accelerò la conclusione del rapimento, facendo uccidere Aldo Moro.
A distanza di quarantatré anni dall’eccidio di via Fani e dall’uccisione di Aldo Moro rimane sempre attuale, e senza una risposta, una domanda che ruota attorno a quella lunga notte della repubblica che sicuramente ha cambiato il corso della storia del nostro Paese. “Moro si poteva salvare?” Tentativi per intessere delle trattative ve ne furono. E tanti. Alcuni dei quali autorevolmente ostentati ma senza produrre alcun effetto, tra gli altri quelli dichiarati, ma non si sa come e con chi, dai dirigenti del Psi. Altri riservatissimi, tra questi quelli attribuiti a uomini della Chiesa e, perfino, a Paolo VI, che avrebbe chiesto a Mons. Cesare Curioni, cappellano capo del carcere di San Vittore a Milano di prendere i più utili contatti per avviare una trattativa. Sembra che il Papa avesse dato disposizioni per reperire una raccolta di denaro per favorire il buon esito delle trattative. Tentativi tutti andati a vuoto. Così come non ebbero migliore fortuna quelli promossi dalla Democrazia Cristiana che tentò di coinvolgere persino l’Onu e la Croce Rossa Internazionale. La linea dell’impossibilità di aprire una trattativa ufficiale tra lo Stato e le Br era quella del Pci, del Pri e della Dc, la cui sede di Piazza del Gesù, in quei cinquantacinque giorni, viene ricordata dai dirigenti dello scudo crociato di allora, particolarmente vuota dei dirigenti che avevano scelto la strada impossibile di sottrarsi alla decisione e alla gestione del drammatico dilemma sul che fare. Nel dramma di quei giorni, e di quelle ore, solo in seguito si riconobbe che Moro non aveva affatto perso il controllo di se stesso e della situazione. Fin da quando ha iniziato ad insegnare diritto penale, infatti, ha sempre sostenuto che la vita era il bene più importante in assoluto e che il resto si può sempre comporre. Ma è lo stesso Mario Moretti che ci fornisce la risposta alla domanda che ci siamo posti. “Io credo – riporta Sergio Zavoli nell’interessante libro “La notte della repubblica” – che in quelle condizioni fosse molto difficile ….. realizzare una scelta diversa. Ma non perché noi avessimo fatto a priore la scelta di concluderla in quella maniera. Le cose si misero in modo tale che ciascuno dovette assumersi delle responsabilità molto grandi, anche di indirizzo generale, nel governo del Paese. Perché li si giocò tutto questo”. La tesi della non possibilità oggettiva a trattare era sostenuta nel libro “l’ape e il Comunista” che pubblicò i documenti del “collettivo dei prigionieri comunisti delle Br”, a cui partecipò Renato Curcio, La trattativa non faceva parte della strategia delle Br e che “ la fine di Moro ha aperto la crisi più acuta nella Dc Partito – e quindi nello stato-regime”.
Nell’ultima lettera di Zaccagnini a sua moglie Anna dall’Ospedale, citata da Guido Bodrato nell’intervista di Veltroni sul Corriere della Sera del 13 aprile scorso è contenuta l’onestà della posizione politica della dirigenza della Dc, il dolore per il dramma di Moro e l’incapacità della politica ad individuare una posizione che salvasse la vita dell’amico prigioniero: “ Tra poco incontro Aldo e gli andrò incontro per abbracciarlo ….. io mi sono chiesto tante volte se potevo fare qualcosa di più” e aggiunge “Qualcosa di onesto”. E poi “Se Aldo fosse stato con noi …. Avremmo trovato una strada che io non ho trovato”.Ma Moro d’allora in poi non sarà più nel partito, nell’università, nelle istituzioni, nel Paese e nella sua adorata famiglia”.
* Già dirigente della Dc e parlamentare del Pd
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