«A parti invertite la storia si ripete. Il Pd calabrese, avamposto di un malessere nazionale, è condannato a rivivere la sua storia recente. Nell’estate del 2017, a sei mesi della conclusione della decima legislatura, il presidente pro tempore, Mario Oliverio, cominciò ad organizzare la sua campagna elettorale chiamando a raccolta un tot numero di sindaci che “spontaneamente” lo avrebbero sostenuto. Non c’era nulla di strano. Come uscente gli toccava la ricandidatura, senza però accorgersi che non aveva governato bene. Se ne accorse il segretario Nicola Zingaretti (che paradossalmente era amico, collega e compagno di Oliverio) che, però, usò una tattica maldestra per farlo fuori. Tanto maldestra che l’uscente se ne accorse tardi che la defenestrazione ci sarebbe stata comunque. Che fece Zingaretti? Confermò come commissario regionale del partito l’ex renziano Stefano Graziano, sostenuto soprattutto dai reggini, assecondando la candidatura di Pippo Callipo, il quale si era già misurato nel 2010, con buoni risultati, insieme a Luigi de Magistris. Insomma, il Pd ama consumare pasti riscaldati. Adesso il Nazareno, o almeno una parte di esso, non accetta la candidatura di Nicola Irto, sostenuta da Graziano. E qui le parti s’invertono. A sbarrare la strada a Irto è niente di meno che il vice segretario nazionale, Giuseppe Provenzano, che ha preso il posto di Andrea Orlando, cercando di prenderne il testimone creando una sua componente interna. E qui comincia la giungla, o forse la savana come dice qualcuno, o forse ancora la palude. E il segretario Enrico Letta che fa? Da buon democristiano lascia la briglia lunga salvo, forse, a recuperare le consunte primarie che, se messe in campo, amplierebbero i problemi invece di risolverli».
*Giornalista
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