REGGIO CALABRIA «Negli anni del dibattimento ho sempre cercato di avere un atteggiamento molto “laico” ma mi trovata a scontrarmi con due aspetti: le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, molte delle quali convergenti tra loro e la sovrabbondanza probatoria».
Terzo atto della requisitoria nel processo “Gotha” in scena nell’Aula Bunker di Reggio Calabria. Seconda udienza per il sostituto procuratore della locale Dda, Sara Amerio che passa in rassegna anni ed anni di dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, dal processo “Olimipia” ad oggi, per raccontare «la nuova ‘ndrangheta», da società di “Sgarro” a società di “Santa”.
«Avrei voluto raccontare la storia criminale di ogni singolo collaboratore di giustizia – dice al Corte presieduta dal giudice Silvia Capone – ma la loro sovrabbondanza non mi permetterà di ripercorrere queste dichiarazioni con la scientificità che avrei voluto».
«La componente riservata della ‘ndrangheta – continua – vede nella massoneria lo strumento principale per perseguire due direttrici: quella del consolidamento dei capitali profitto dell’attività illecita e dall’altra la gestione dei flussi elettorali».
Presenti in aula alcuni dei principali imputati tra cui l’ex parlamentare del Psdi Paolo Romeo, che prende appunti mentre ascolta la ricostruzione dell’accusa.
Il sostituto procuratore mette sul tavolo tre elementi che sanciscono il passaggio dalla ‘ndrangheta tradizionale alla “Santa”: il rapporto con le forze dell’ordine; il rapporto con le Istituzioni e la «segretezza nella segretezza». Risultanze figlie di una svolta necessaria, dovuta «da un lato alla maggiore azione di contrasto operata dallo Stato» e dall’altro «alla crescita del fenomeno del pentitismo». Nel tempo si sarebbe resa necessaria un’evoluzione che potesse penetrare autorità ed istituzioni e al contempo rendere la struttura interna più impenetrabile, tale che un affiliato «potesse conoscere la struttura solo dalla sua “dote” in giù, ma non in su». In altri termini, in caso di eventuale pentimento, non avrebbe avuto la possibilità di svelare l’essenza della struttura fino al suo vertice.
Nasce così la “Santa”. Il pm identifica il momento preciso con la fine della prima guerra di ‘ndrangheta dove i boss del vecchio corso Macrì e Tripodo vengono rimpiazzati dai Piromalli, i De Stefano e le altre famiglie in ascesa «che rappresentano il nuovo corso».
«Il fatto di avere una componente segreta in un’associazione ex se segreta, lascia quella consapevolezza di chi è chiamato a vivere e operare in un contesto nel quale non si sa di chi ci si può fidare. Bisogna tener conto di una realtà opaca dove non si conosce mai l’interlocutore. Tra gli imputati manca tutta una parte perché la natura stessa di questo accertamento lo rende difficilissimo. Partire dalla dichiarazione dei collaboratori significa partire dall’interno e in qualche modo scardinare la segretezza»
La ricostruzione segue così una linea lunga trent’anni, che parte dai collaboratori di giustizia già «ritenuti affidabili nel processo “Olimpia”». Soggetti con ruoli e storie diverse tra loro. C’è ad esempio il “settentrionale” Antonio Zagari, tra i primi a parlare dei così detti «invisibili» fino al siciliano Gaetano Costa che raccontò «il passaggio dalla mafia rurale alla mafia imprenditoriale».
Il filo porta fino ai giorni nostri, ai pentiti più recenti come Cosimo Virgilio che ha inserito «nella componente occulta della ‘ndrangheta Paolo Romeo».
«Abbiamo – ha ribadito il pm – una sovrabbondanza probatoria. Penso che la nostra tesi possa ritenersi provata». Ricostruite anche le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia sui rapporti tra le cosche, le logge massoniche deviate e pezzi infedeli dello Stato.
La requisitoria proseguirà mercoledì prossimo quando toccherà al sostituto procuratore della Dda Stefano Musolino ricostruire un’altra parte dell’inchiesta che ha portato a uno dei più importanti processi alla ‘ndrangheta. (f.d.)
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