LAMEZIA TERME La figura criminale dell’ottantenne presunto boss dell’omonima cosca di ‘ndrangheta, Carmelo Bagalà, finito in carcere dopo il blitz della Dda di Catanzaro “Alibante”, si inserisce in maniera quasi perfetta in quella descrizione di uomo di “riferimento” per chi gli chiede un favore, ma anche (e soprattutto) un soggetto pronto a spendersi per i suoi interessi e quelli dei sodali, anche quelli apparentemente di interesse secondario, sebbene non sia poi riuscito a compiere nei fatti quanto annunciato a parole.
Ne è un esempio un episodio ricostruito dagli inquirenti e riportato nell’ordinanza firmata dal gip, Matteo Ferrante, legato all’acquisizione – forzata e prepotente – di un appezzamento di terreno situato a Nocera Terinese in località Macchie.
I proprietari ereditieri, infatti, avevano cercato un accordo di vendita, tra gli altri, con Domenico Aragona – indagato – e il padre. Accade che gli acquirenti non si presentano per la stipula del contratto di cessione definitivo e così, i due legittimi proprietari qualche anno dopo, alienano il terreno a favore di altre due persone. La perdita dei terreni, sui quali i due Aragona rivendicavano pretese, non era stata accettata però pacificamente e così decidono di rivolgersi al boss, Carmelo Bagalà.
Domenico Aragona – si legge nell’ordinanza del gip – è considerato «un uomo di fiducia del boss, il suo autista abituale, tanto da essere individuato come possibile candidato alle elezioni di Nocera, alle quali poi parteciperà in sua vece Salvatore Grandinetti». In una conversazione captata dagli inquirenti, inoltre, è lo stesso Aragona a spiegare la natura del rapporto che lo lega con il boss Carmelo Bagalà: «..una vita, ne abbiamo passato delle belle e delle brutte (…) pero è normale che io non mi lascio da Carmelo e Carmelo non si lascia da me!».
Il boss, dunque, li ha sin da subito tranquillizzati, annunciando ritorsioni nei confronti dei “nuovi” acquirenti. «…Ho visto tuo padre troppo arrabbiato, non deve preoccuparsi (…) che la medicina per i topi gliela diamo..», consigliando ai due di porre una catena proprio davanti all’ingresso dei terreni oggetto della contesa: «…digli a tuo padre di non preoccuparsi, di mettergli la catena, con un cartello “proprietà privata” e basta..». Consiglio che Ferdinando Aragona conferma di aver ascoltato quando i due si incontrano: «Hai visto? sono andato a mettere la catena (…) – dice in una conversazione captata dagli inquirenti – loro ne avevano messo un’altra ma l’ho cacciata e adesso c’ho messo la catena con il coso divieto… speriamo che stanotte vanno e non le cacciano». Un episodio, quello ricostruito dagli inquirenti, che non costituiva la prima ritorsione. Qualche giorno prima infatti, il 21 luglio 2018, uno dei proprietari legittimi del terreno aveva già denunciato ai Carabinieri l’arbitraria apposizione di una catena all’ingresso dei loro terreni.
Passa solo qualche giorno e gli inquirenti riescono a captare un’altra conversazione tra Carmelo Bagalà e Eros Pascuzzo, altro uomo di fiducia del boss e pronto a mettersi a disposizione – secondo gli inquirenti – per «eseguire intimidazioni e danneggiamento», anche lui tra gli indagati dell’inchiesta “Alibante”. In quella circostanza, il boss parla di un imminente incendio di alcune vetture custodite all’interno dell’abitazione del proprietario del terreno. Un tentativo per cercare di farlo “desistere”. «(…) ma con calma.. eventualmente gliela mettiamo a tutt’e due gliela mettiamo» dice Carmelo Bagalà a Pascuzzo, che gli risponde: «Si è comprato… ha cinque macchine… tutt’e cinque nuove… una vicina all’altra Carmelo.. gli facciamo un favore ma dobbiamo prendere anche quella del “Nano”». «Una sera – gli risponde Bagalà – andiamo io e te? Gliela buttiamo dal cancello e gliela bruciamo». Nel corso della conversazione tra i due, il boss Bagalà continua a parlare del “Nano”: «…si sta ca*ando sotto comunque eh (…) è andato un’altra volta con la bicicletta… ha fatto il giro… perché lui si è spaventato per qualche azione ed è sparito».
È Domenico Aragona a riferire al boss Carmelo Bagalà, in un incontro avvenuto qualche giorno dopo, che nessuno ancora aveva rimosso la catena per entrare nei terreni. Bagalà, dal canto suo, gli ribadisce ancora una volta le sue “intenzioni” poco pacifiche: «…ma voi fategli capire, diteglielo chiaro e tondo che se si avvicina per andare a tagliare l’erba gli taglio le gambe (…) con una buona fucilata!».
Passa qualche giorno e uno dei proprietari del terreno presenta un’altra denuncia ai carabinieri perché “ignoti” avevano rimosso i paletti che lui stesso aveva legittimamente sistemato per delimitare il terreno. Una volta appresa la notizia, però, Carmelo Bagalà, va su tutte le furie: «(…) hanno avuto paura e hanno chiamato i Carabinieri, facendo il nome di tuo padre… io ce l‘avessi buttata lo stesso.. la notte stessa.. e ti ripeto, digli a tuo padre che per me la medicina.. la migliore medicina.. la medicina dei topo qual è? La bustina! Se gli dai quella, non ingrassano più».
«Quegli altri cornuti dei carabinieri che erano d’accordo con lui (…) hanno tagliato l’erba medica in presenza dei Carabinieri». Dopo breve tempo, Eros Pascuzzo informa il boss Bagalà di aver appreso da Domenico Aragona che i due proprietari del terreno, insieme ai carabinieri, avevano rimosso l’ennesimo lucchetto che era stato apposto all’ingresso della proprietà, e tagliato anche l’erba. Sentendo questo ennesimo episodio, Carmelo Bagalà quasi si spazientisce e stigmatizza il comportamento remissivo dei due Aragona che non avevano voluto seguire il suo consiglio e, dunque, compiere qualche ritorsione. «(…) il Nano è tornato a denunciare ai Carabinieri…gli Aragona sono brave persone… se lo avessero fatto a me no? Io andavo fino là dentro e li ammazzavo.. fino a dentro.. a sangue freddo li ammazzavo a tutti quanti..». (redazione@corrierecal.it)
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