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Bertolone: il sangue di Livatino genera un nuovo seme di cristianesimo

La riflessione dell’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, postulatore della causa di beatificazione del magistrato siciliano

Pubblicato il: 09/05/2021 – 14:57
Bertolone: il sangue di Livatino genera un nuovo seme di cristianesimo

CATANZARO “Rosario Angelo Livatino, un giudice martire di fede: il suo sangue genera oggi nuovo seme di cristianesimo”. Lo dice al Sir monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, postulatore della causa di beatificazione del magistrato siciliano, in occasione del rito di beatificazione nella cattedrale di Agrigento. Una data non casuale m perch è quella dell’anniversario della visita di san Giovanni Paolo II nella città dei templi, quando lanciò il suo celebre anatema contro la mafia, il suo grido “Convertitevi, arriverà il giudizio di Dio” che risuonò fra i templi nel 1993. E, in quell’occasione, il pontefice incontrò i genitori del magistrato che definì “martire della giustizia”. Livatino fu assassinato sulla strada che conduce da Canicattì ad Agrigento il 21 settembre 1990, all’età di 37 anni, dai mafiosi della ‘Stidda’. Di Livatino, nato a Canicattì il 3 ottobre 1952, la Santa Sede ha riconosciuto il martirio “in odium fidei” (in odio alla fede), come riporta un decreto della Congregazione per le Cause dei santi, di cui Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione nel corso di un’udienza col cardinale prefetto Marcello Semeraro, il 21 dicembre 2020. Quasi trentuno anni dopo la sua morte, gli onori degli altari. “Livatino – sottolinea mons. Bertolone – incarnava nella quotidianità l’intimo nesso tra fede creduta e pratica della giustizia. Gli stiddari, con il beneplacito di Cosa Nostra, ne decretarono la morte in odio all’autentica e cristallina fede che egli testimoniava, convergendo ad unum contro quel giusto, conosciuto come magistrato incorruttibile a motivo proprio della sua fede e per questo apostrofato come ‘bigotto’ e ‘santocchio’”. Nella sua riflessione, mons. Bertolone evidenzia: “Il suo martirio è stato ed è il segno di un’insanabile inconciliabilità tra Vangelo e strutture mafiose”. “Il silenzio, che gli fu imposto con la violenza, è diventato canto di lode al Signore profluvio di speranza per la Chiesa, esempio luminoso per la magistratura. Pensavano di essersene sbarazzati per sempre. Sbagliavano: Livatino vive”.
Nel 1993, su impulso della diocesi di Agrigento, iniziò la raccolta di testimonianze per la causa di beatificazione, con il processo diocesano poi aperto ufficialmente il 21 settembre 2011, con decreto a firma dell’arcivescovo, il card. Francesco Montenegro, e dichiarato concluso il 6 settembre 2018, con la trasmissione degli atti alla Congregazione delle Cause dei Santi. Da qui l’avvio dell’iter, con la nomina a postulatore di mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace e presidente della Conferenza episcopale calabrese, che sempre da postulatore aveva già seguito l’iter che aveva portato alla beatificazione di Padre Pino Puglisi, primo martire di mafia ucciso “in odium fidei”. L’annuncio del riconoscimento del martirio in odio alla fede è stato dato dalla Sala stampa vaticana, il 22 dicembre 2020. Ricevendo in udienza, il giorno precedente, il card. Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Papa Francesco ha autorizzato il Dicastero a promulgare i decreti relativi al nuovo prossimo beato. “Un esempio, anzitutto per coloro che svolgono l’impegnativo e complicato lavoro di giudice”. Così Papa Francesco parlava di Rosario Livatino nel suo discorso ai membri del Centro studi che porta il suo nome, durante un’udienza, il 29 novembre 2019. “Quando Rosario fu ucciso non lo conosceva quasi nessuno. Lavorava in un Tribunale di periferia: si occupava dei sequestri e delle confische dei beni di provenienza illecita acquisiti dai mafiosi. Lo faceva in modo inattaccabile, rispettando le garanzie degli accusati, con grande professionalità e con risultati concreti: per questo la mafia decise di eliminarlo. Livatino è un esempio non soltanto per i magistrati, ma per tutti coloro che operano nel campo del diritto: per la coerenza tra la sua fede e il suo impegno di lavoro, e per l’attualità delle sue riflessioni”. (Agensir)

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