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l’intervista

Quagliariello: «”Cambiamo” parteciperà alle Regionali. Da noi progetti (e non parole) per la Calabria»

“Cambiamo”, il movimento guidato da Gaetano Quagliariello, è pronto a scendere in campo per le prossime Regionali. «Non con parole ma con progetti concreti», spiega il suo leader. Che traccia i co…

Pubblicato il: 12/05/2021 – 13:34
di Paola Militano
Quagliariello: «”Cambiamo” parteciperà alle Regionali. Da noi progetti (e non parole) per la Calabria»

“Cambiamo”, il movimento guidato da Gaetano Quagliariello, è pronto a scendere in campo per le prossime Regionali. «Non con parole ma con progetti concreti», spiega il suo leader. Che traccia i confini di un impegno nel centrodestra, «senza fughe in avanti», e in chiave antipopulista. Con un paio di elementi cardine: la fine del commissariamento della sanità e la costruzione di una “dorsale Zes” che faccia da traino a uno sviluppo non soltanto sognato.

Oggi più di ieri, i calabresi sono sempre più a sud di qualcun altro…
«La questione meridionale è una e presenta problematiche comuni per il Mezzogiorno, ma è altrettanto evidente che ogni territorio ha la sua specificità e che la Calabria su diversi fronti è un avamposto di criticità. Il fatto che il Sud si trovi a un bivio tra un definitivo declino e un’occasione di rilancio lo abbiamo sentito tante volte. Questa litania però non ci deve far perdere di vista la realtà. Il post-Covid sarà difficilissimo per il nostro Paese, ma abbiamo risorse da non sprecare e l’obbligo di puntare su quei territori che sono più indietro e che per questo potrebbero avere una crescita più significativa. Se è vero, dunque, che questa volta il Sud è un’occasione per l’Italia, è ancora più vero per la Calabria e non cogliere l’occasione che ci offre questa ricostruzione “post-bellica” sarebbe un delitto».

È anche vero però che i calabresi devono liberarsi di qualche tabù e ragionare da persone libere e intelligenti…
«Le idee e i progetti viaggiano sulle gambe degli uomini. Il capitale umano è sempre la prima risorsa sulla quale puntare, e dunque è assolutamente necessario che i calabresi siano i primi a credere nella possibilità di una svolta. Intelligenti lo sono e anche molto, anche se questa intelligenza i calabresi l’hanno dimostrata più fuori dalla loro terra che in “patria”. Anche per questo, un impegno preliminare è trovare soluzioni anche legislative che possano premiare chi deciderà di restare e di investire per lo sviluppo della Calabria. Per il resto, concordo con la sua domanda nel ritenere che questa intelligenza dovrebbe essere applicata più a perseguire una svolta strutturale che a crogiolarsi, come a volte avviene, in una narrazione stereotipata di problemi reali che fa male a questa terra quanto e più dei problemi stessi. Che, ripeto, ci sono ma vanno affrontati con determinazione. I calabresi hanno già dimostrato di saperlo fare quando vogliono. Ecco, è il momento di volerlo più che mai».

Rimane il fatto che al Sud servono una serie di possibili ambiti di intervento nel contrasto alla ‘ndrangheta, nella pubblica amministrazione ed investimenti in istruzione, infrastrutture e digitale.
«Al Sud c’è bisogno di più Stato, ma anche di uno Stato che intervenga in modo diverso da come è accaduto negli ultimi decenni. Meno assistenzialismo, meno spesa alluvionale dispersa in mille rivoli improduttivi, più investimenti per la creazione delle condizioni di contesto che possano rendere il territorio attrattivo per gli investimenti: sicurezza, infrastrutture materiali e immateriali, formazione del capitale umano, un quadro normativo semplice e incentivante. Ricorda l’antica metafora sulla differenza tra regalare pesci e mettere nelle condizioni di pescare? È perfettamente calzante. Questo però implica che a compiere uno sforzo debbano essere non solo i calabresi, ma anche lo Stato. L’assistenzialismo fa comodo anche a chi lo elargisce; investire in maniera strutturale richiede uno sforzo in più. E questa congiuntura storica impone di compierlo».

Un capitolo a parte lo merita la sanità dove le inefficienze sistemiche (per usare un eufemismo) sono la diretta conseguenza di anni di commissariamento al netto delle responsabilità politiche che sono chiare ed evidenti.
«Non so cosa altro debba accadere in Calabria per certificare il fallimento del commissariamento statale nella sanità. Da tempo, anche con una mozione in Senato, “Cambiamo” ha proposto la cessazione del commissariamento all’insediamento della nuova giunta regionale, restituendo a quest’ultima le competenze sulla sanità; nelle more delle nuove elezioni, nominare non una figura monocratica ma un collegio commissariale, composto da persone competenti individuate in una rosa di nomi proposti in accordo con istituzioni ed enti territoriali; scorporare dalle funzioni commissariali quelle connesse all’emergenza Covid; disporre un piano straordinario per la ricostruzione del tessuto sanitario calabrese. Ormai le elezioni sono alle porte, ma l’obiettivo non cambia».

La decisione di aver contribuito alla nascita di “Cambiamo” c’entra per caso con le continue mutazioni genetiche della politica al tempo dell’antipolitica?
«L’avvento dell’antipolitica è stato agevolato negli anni scorsi dalla crisi, dagli errori e dall’incapacità di autoriforma dei grandi partiti tradizionali. Oggi che la crisi drammatica che stiamo vivendo accelera il tramonto dell’approssimazione e degli slogan in favore della competenza e della cultura di governo, c’è bisogno più che mai di una ristrutturazione delle culture e delle aree politiche. E in particolare nell’area in cui si colloca “Cambiamo”, è necessario dare voce a una larga fascia di cittadini che non si sentono rappresentati ma anche fare in modo che questa rappresentanza non sia episodica. L’esperienza di “Cambiamo” guarda al futuro, si costruisce sulla roccia dei territori invece che sulla sabbia dell’effimero, si alimenta di buon senso e proposte concrete. Per questo è sempre più attrattiva e può diventare il nucleo di qualcosa di ancora più grande».

In Calabria, “Cambiamo” parteciperà alle regionali nelle file del centrodestra con quali proposte?
«Certamente sì. Le proposte le abbiamo messe nero su bianco e anche presentate al Consiglio regionale. In estrema sintesi, la maggior parte di queste proposte è funzionale all’istituenda Zona economica speciale: infrastrutture immateriali di connessione, opere stradali e ferroviarie, con particolare riferimento ad una rete di metropolitane di superficie che utilizzano anche reti su ferro già esistenti, nonché la realizzazione di collegamenti ferroviari di “ultimo miglio” tra le aree Zes, i porti e gli aeroporti, l’Alta velocità che attraversa le aree dello Jonio e del Tirreno. Il tutto combinato con un piano industriale per i sistemi aeroportuale e portuale, per rendere la “dorsale Zes” ancora più attrattiva. Si prosegue con i collegamenti tra aree interne e centri urbani, con un piano idrogeologico e con una rete di depurazione e di gestione ecosostenibile dei rifiuti. Il tutto finalizzato a trainare il “core business” regionale, il turismo, e il settore agroalimentare. Senza dimenticare un articolato piano sanitario, un progetto di riconversione delle aree industriali dismesse, un efficientamento della macchina amministrativa e l’apertura di nuovi istituti tecnici superiori per la formazione di nuove figure professionali, per intercettare al meglio le opportunità che si aprono con il Recovery Plan. Andremo avanti su questa strada. Non parole ma progetti concreti».

Anche il suo movimento dirà sì alla candidatura di Roberto Occhiuto?
«Con Roberto Occhiuto c’è un confronto che va avanti da tempo con soddisfazione, ritengo reciproca. Detto questo, con la nostra autonomia partecipiamo al tavolo delle forze di centrodestra che determinerà le candidature per le prossime elezioni regionali e amministrative. La prima riunione del tavolo del centrodestra è una buona notizia perché testimonia la volontà di non commettere gli errori che Pd e M5S stanno facendo. Per tutti si veda cosa è accaduto a Roma. In quella sede si prenderanno le determinazioni. È importante che nessuno faccia fughe in avanti, innanzi tutto per il rispetto che si deve all’impegno di chi verrà presto scelto e ufficializzato come candidato della coalizione».

Per Gaetano Quagliarello, questo Ponte sullo stretto s’ha da fare o no?
«Sono convinto di sì. Non per ideologia o per riflesso condizionato, ma per due considerazioni molto pragmatiche. La prima è la difficoltà fin qui riscontrata nel superamento del deficit infrastrutturale per mezzo degli interventi ordinari: mettendo in piedi un’opera del genere, con la spesa e l’impegno che comporta, far sì che il ponte non colleghi due territori sguarniti di infrastrutture adeguate diventerà una priorità per qualsiasi governo e potrà innescare un circuito virtuoso. La seconda riguarda il Recovery Fund: come è stato fin qui per i fondi europei e per lo stesso intervento statale, c’è il rischio che nel Mezzogiorno le risorse del Pnrr si disperdano in mille rivoli inadatti a produrre l’impatto atteso e necessario. Meglio concentrarle in progetti poderosi capaci di determinare indotto e potenzialità di sviluppo per i decenni a venire». (paola.militano@corrierecal.it)

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