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A Corigliano Rossano chiude la Rianimazione. «Lo spoke rischia il declassamento a ospedale di base»

Vulcano costretto a chiudere ai ricoveri: mancano 10 anestesisti. I parametri per i “colori” della regione potrebbero subire conseguenze

Pubblicato il: 16/05/2021 – 12:34
di Luca Latella
A Corigliano Rossano chiude la Rianimazione. «Lo spoke rischia il declassamento a ospedale di base»

CORIGLIANO ROSSANO Il servizio di Rianimazione chiuso ai ricoveri a tempo indeterminato. La notizia è di quelle tragiche, spiega il dottor Giuseppe Angelo Vulcano, direttore dell’Unità operativa complessa di Anestesia e Rianimazione facente funzioni e sindacalista della Cgil, per tutta una serie di motivi: la terapia intensiva del “Giannettasio” è l’unica sulla costa da Crotone a Policoro, è una delle quattro in Calabria, con Reggio, Catanzaro e Cosenza, dedicate all’emergenza Covid, e di fatto declassa lo “spoke” di Corigliano Rossano nella rete ospedaliera perché senza Rianimazione – il cuore della medicina – un ospedale è da considerarsi “di base”. Chiudere il reparto “salvavita” per eccellenza, peraltro, potrebbe avere conseguenze nefaste, ma immaginabili, per tutto il territorio.

La cronica carenza di personale: mancano 10 anestesisti rianimatori

Un assurdo, insomma, materializzatosi a causa degli ormai atavici problemi, la carenza di personale sempre più falcidiato, aggravata dalle quiescenze e dai regimi di malattia. Tra il 2020 e il 2021 due anestesisti sono andati in pensione e da giugno saranno tre col primario facente funzioni. In tutto, ad oggi, gli anestesisti rianimatori in servizio allo spoke di Corigliano Rossano sono 10 e devono garantire oltre alla gestione dei posti letto di terapia intensiva e sub-intensiva Covid, anche i turni di guardia e reperibilità, l’attività chirurgica urgente (chirurgia, ortopedia, oculistica, otorinolaringoiatria ecc), perché quella ordinaria è stata sospesa da tempo.
A conti fatti ne servirebbero «15 se si concentra tutta l’attività chirurgica in un ospedale e non nei due presidi – spiega al Corriere della Calabria il dottor Vulcano – o 20 se il servizio continua ad essere organizzato come lo è oggi».

«L’atteggiamento inerme dell’Asp ha esasperato gli animi»

La decisione di sospendere i ricoveri in Rianimazione era nell’aria da qualche giorno, anche perché gli anestesisti rianimatori dello spoke speravano in una risposta ad una lettera inviata al management dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza e alla direzione sanitaria dello spoke. Ed invece «i silenzi alle nostre richieste d’aiuto e ai campanelli d’allarme hanno esasperato gli animi. Un atteggiamento inerme – le parole di Vulcano sono durissime – e inaccettabile da parte della direzione generale dell’azienda».

Ipotesi di declassamento da spoke a ospedale di base

I quattro posti letto Covid – che a breve saranno 10 – non sono più occupati e ieri sera un paziente che necessitava di un posto in terapia intensiva è stato trasferito a Castrovillari. «È una questione di sicurezza – specifica il primario – così come siamo non riusciamo a garantire i turni, quindi l’incolumità dei pazienti e la nostra».
Vulcano evidenzia anche come uno spoke, quindi sede di Dipartimento d’emergenza e accettazione – Dea di I livello – senza la Rianimazione «non abbia senso di esistere. Se questa storia continuerà lo spoke sarà declassato ad ospedale di base».
La “chiusura” delle terapie intensive del “Giannettasio” andrà a scombussolare alcuni dei parametri presi in considerazione per “colorare” le regioni. Sottrarre 4 posti di terapia intensiva e 10 di sub-intensiva Covid al servizio sanitario calabrese potrebbe alterare il livello delle disponibilità delle cure.
Insomma, a conti fatti, la disponibilità dello spoke all’assistenza dei pazienti Covid offerta più di un anno fa, seppur necessaria, ha sconquassato il già più che precario servizio sanitario del territorio, andando praticamente ad azzerare le cure per tutte le altre patologie.
Dalla preoccupazione che il Giannettasio si trasformasse in una bomba batteriologica – perché non era strutturalmente e organicamente pronto – alla chiusura dei reparti come il pronto soccorso costretto a non prestare assistenza ai pazienti non covid per due mesi, chi ne paga le conseguenze maggiori è sempre il cittadino. (l.latella@corrierecal.it)

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