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Il contributo

«Welfare: prospettive per un’innovazione sostenibile»

L’emergenza pandemica ha colto tutti impreparati, istituzioni comprese, e scoperchiato il baratro attorno al palinsesto ormai usurato del Welfare State. Lo Stato annaspa, fornendo soluzioni piutto…

Pubblicato il: 17/05/2021 – 17:55
di Candida Tucci*
«Welfare: prospettive per un’innovazione sostenibile»

L’emergenza pandemica ha colto tutti impreparati, istituzioni comprese, e scoperchiato il baratro attorno al palinsesto ormai usurato del Welfare State. Lo Stato annaspa, fornendo soluzioni piuttosto annacquate, il sistema di protezione non funziona abbastanza e la forbice tra bisogni ed assistenza si apre ancora di più. Un corto circuito che impone qualche riflessione.
La rete di assistenza nel ventennio della legge 328/2000 e la progressiva rarefazione del welfare. Dalla legge 328/2000 in poi, il Welfare è stato prerogativa degli enti del Terzo Settore, professionisti dell’assistenza attraverso modelli organizzativi no profit, prescelti tra tutte le parti sociali – nella legge velocemente definite come «…tutti gli altri soggetti …» – quali partner privilegiati del “pubblico” per costruire il terzo pilastro dell’assistenza ovvero il “Sistema dei Servizi”, accanto a quelli sanitario e pensionistico. Scelta fisiologica, in quel momento storico, atteso che la legge 328 ereditava un welfare – ancora residuale – gestito da enti di beneficenza di matrice prevalentemente cattolica, che bisognava, finalmente, trasformare in ciò che la Costituzione aveva immaginato già 50 anni addietro, cioè quel sistema universalistico di protezione della persona in quanto tale, smarcato dalla carità cristiana.
Gli anni a seguire hanno visto, ad onor del vero, l’indiscutibile professionalizzazione degli enti di volontariato del Terzo Settore arrivando, in alcuni casi, fino all’adozione di modelli organizzativi di stampo imprenditoriale. Meno incisivo – negli anni – il loro innesto rigenerante nei sistemi di welfare locale. Soprattutto in quelle realtà strutturalmente fragili perché economicamente depresse e storicamente resistenti al miglioramento (il Mezzogiorno). Causa, probabilmente, il doppio ruolo del Terzo Settore – rivendicatore dei diritti in fase di programmazione e competitor, secondo le logiche di mercato, in fase di allocazione delle risorse – che ha finito per ingessare il potenziale creativo di quel soggetto, generando un effetto aberrante.
Alle politiche pubbliche di assistenza ispirate sempre di più alla logica del contenimento della spesa, la risposta fornita dal c.d. Sistema dei Servizi (il terzo pilastro dell’assistenza costituito dal terzo settore, ndr) è stata quella di una recrudescenza dell’azione di rivendica piuttosto che la transizione verso una più soddisfattiva sponda di welfare integrativo. Conseguenziali le diverse zone d’ombra nell’assistenza al di fuori della spesa pubblica. Privilegiare in modo esclusivo (rectius ad excludendum omnes alios) un unico soggetto e relegare nella marginalità le altre parti sociali è stato il tallone d’Achille della l.328 che ha costituito il punto di frattura della catena dell’assistenza.
In Calabria il ventennio di applicazione della legge 328 è trascorso …senza la sua applicazione. Innegabile il gap generatosi, ma culturale più che strutturale. La rete di assistenza – nata all’ombra della inattuata legge 328 – si è organizzata sul campo ed il suo vero marcatore è stato il sistema Salute del quale non è mai riuscita ad essere il completamento ed al quale – piuttosto – è stata contrapposta. Tuttavia a parer nostro, credere che quel gap possa oggi essere recuperato mediante la (tardiva) attuazione della legge 328, è pericolosamente retrò, tanto quanto pensare di farlo utilizzando un “vecchio arnese” quale la legge regionale 23/2003 di recepimento. Irrigidita nel 2018 con stringenti modifiche – volute dall’allora volontà politica – che hanno circoscritto ulteriormente il confronto dei decisori politici e definitivamente anchilosata, poi, da un Regolamento attuativo 22/2019 – frutto della medesima volontà politica – che, sfornando un esercito cammellato di strutture accreditate, sigilla il sistema di protezione nella superata cultura strutturo-centrica reiterando l’errore del passato di continuare a mantenere separate la Salute dall’Assistenza. Non è un caso che a solo un anno dalla sua entrata in vigore, sui tavoli di concertazione c’è già chi batte nuovamente i pugni per strappare aumenti della spesa pubblica (!!!) quando l’esperienza – non ultima quella pandemica – ha dimostrato che la sfida all’assistenza oggi necessita di essere combattuta con altre armi e continuare ad affrontare la questione dei bisogni di salute e di benessere con vecchie logiche di voucher, contratti e tariffe non è più appropriato. Mai come ora l’art.41 della Costituzione, che esalta l’iniziativa economica quale strumento necessario al raggiungimento del bene comune, è la soluzione da percorrere (piuttosto che temere) per la realizzazione piena degli artt.32 e 38 della Costituzione stessa.
È arrivato il momento di ripensare le soluzioni normative, superando i limiti – giustificabili vent’anni fa ma oggi vere e proprie gabbie culturali – che ingessano le politiche di assistenza ed aprire a nuove frontiere, accreditando la capacità innovativa del mondo imprenditoriale (sempre più eticamente responsabile) in un’ottica di flessibilità dei modelli di accoglienza. Riconoscere pari dignità a tutti gli interlocutori con il pubblico e dare voce al profit, finora tenuto in panchina, per costruire quella sussidiarietà circolare capace di superare le strade ormai insufficienti della sussidiarietà orizzontale e verticale. La l.328 è stata una legge straordinaria …ma a suo tempo, cioè 20 anni fa. La l.r. 23/2003, neppure a suo tempo brillante, ed il suo regolamento attuativo 22/2019, sono, a parer nostro, da abbandonare sapientemente. Lo abbiamo detto da sempre e non abbiamo cambiato idea. Al mondo dell’impresa, in questi anni, la crisi del Welfare non è sfuggita e si è riprogrammato puntando a giocare fuori dal seminato (limitato) del pubblico. Esperienze virtuose a livello europeo confermano che il coinvolgimento di soggetti profit riesce a fornire soddisfazioni di bisogni con contenimento dei costi in modo innovativo, anche mediante l’utilizzo di risorse non pubbliche (il welfare aziendale oggi è una scelta in forte espansione). Cura ed Assistenza devono tendere ad un’innovazione sostenibile – sociale oltre che economica – mediante investimenti pensati a mente aperta che inneschino processi virtuosi piuttosto che essere insabbiate in rigidi modelli normativi… non rinunciando a risolvere, una volta per tutte, il grande peccato originale della committenza separata tra salute e benessere.

*presidente regionale Filiera Sanità Confapi Calabria

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