CATANZARO «Erano soggetti che pagavano, pure lentamente ma pagavano». Il pentito Emanuele Mancuso riassume così le alchimie finanziari che, secondo i pm della Dda di Catanzaro, «sembrerebbe abbiano da sempre caratterizzato l’associazione illecita dei fratelli Damiano e Giuseppe Fabiano». Il gruppo, quello legato ai clan del Soveratese, ben organizzato sul piano della logistica e della distribuzione, meno affidabile su quello dei pagamenti. Il problema è che i ritardi – e la mancata risposta ai solleciti – rischiano di costare cari.
I rapporti con le cosche di San Luca possono essere pericolosi, specie se i pagamenti non arrivano per tempo. L’inchiesta “Anteo” documenta i legami del gruppo Fabiano con alcuni clan della Locride: Giorgi, Strangio, Nirta, sono cognomi ricorrenti nelle operazioni antimafia. «‘Ndrangheta di serie A», la definisce spesso il procuratore capo Nicola Gratteri. Era questa “élite” mafiosa uno dei canali di approvvigionamento di stupefacenti per la costa jonica catanzarese. Alcune delle trattative vengono captate dalle cimici degli investigatori. Le discussioni vertono (anche) attorno alla riscossione di un credito che da 10mila euro scende a circa 3mila grazie a una sorta di “piano di rientro” accordato ai fratelli Fabiano. A riscuotere le rate è Gianluca Minnella (nella foto sopra mentre si avvicina a casa di Giuseppe Fabiano), ritenuto uno degli emissari delle consorterie reggine. Le relazioni sono spesso burrascose. E in più di una circostanza si organizzano incontri per spingere i Fabiano a versare quanto dovuto.
Il punto di svolta (che potrebbe diventare un punto di non ritorno) arriva il 4 dicembre 2018, quando la Dda di Reggio Calabria esegue 90 misure cautelari contro le cosche di San Luca. L’operazione «mette in evidenza l’esistenza di articolazioni di quel fenomeno ‘ndranghetistico oltralpe e in particolare in Belgio, Germania, Canada e altri paesi extra europei». E consigli a Minnella «di chiudere “ogni partita” pendente prima di trasferirsi definitivamente in Germania». È la fine dei rapporti con i narcos sanlucoti. Rapporti sempre «connotati dalla costante violenza verbale che si rende necessaria per stimolare i fratelli Fabiano ad adempiere alle obbligazioni contratte per l’acquisto degli stupefacenti». È una costante anche nelle relazioni con il clan riconducibile a Emanuele Mancuso. «In entrambi i casi – appuntano i magistrati antimafia – l’organizzazione dei fratelli Fabiano, ancorché si sia caratterizzata per una fenomenale capacità di gestione di importanti quantitativi di stupefacenti, che gestisce soprattutto grazie ad una articolata e ben organizzata rete di spacciatori su piazze delocalizzate, ha sempre necessitato di violente sollecitazioni che costringessero Damiano e Giuseppe Fabiano a pagare ai fornitori lo stupefacente acquistato».
Gli inquirenti sottolineano «la minaccia di morte» arrivata il 20 gennaio 2018 e «indirizzata a Giuseppe Fabiano e Domenico Giorgio». È è il fratello di Giuseppe, Damiano, a illustrarla a Giorgio. L’uomo avrebbe appreso che un «pluripregiudicato oggi defunto» era stato «incaricato da “certi di San Luca” per portare “un’imbasciata” presso tale “compare Vito di Torre di Ruggiero”, menzionato in quel contesto quale referente della locale famiglia di ‘ndrangheta, per “chiedere il permesso a sparare” e uccidere due persone di Chiaravalle Centrale». È a questo punto che scatta il campanello d’allarme: Damiano Fabiano ritiene che i due bersagli fossero il fratello e l’amico. Il “messaggero” avrebbe anche fatto riferimento all’entità del debito: un contenzioso di circa 3.800 euro.
Che la minaccia arrivi da San Luca è per gli inquirenti – qualche mese dopo – un’evidenza. Gianluca Minnella invia a Damiano Fabiano un sms «dall’incontrovertibile tenore estorsivo». Il testo è chiaro: «Digli a tuo fratello di rispondere perché ora sono stanco. Vedi che mi sembra che tu e tuo fratello volete morire perché con queste prese in giro il nervoso di più mi sale». Il messaggio crea una certa apprensione tra i fratelli, che temono di essere intercettati: «Ascolta, gli scrivi a Gianluca – spiega Damiano a Giuseppe – digli di non mandare certi messaggi… che mi ha mandato un messaggio “normale” (sms e non chat) […] brutto ma brutto davvero […] stanotte me l’ho ha mandato… ieri sera alle 21 […] mi ha scritto… mi ha detto che tu e tuo fratello volete morire…. che non ci metto niente a far salire qualcuno […] adesso te l’ho mando… non sono messaggi da mandare… i telefoni sono sotto controllo… questo vuole giocare… ma non lo sa che… che qua le capiscono male le parole». I timori sono evidenti, e non sono soltanto legati a eventuali ritorsioni per la merce non pagata. È un passaggio, questo, che serve a illuminare altri rapporti coltivati dai Fabiano. Questa volta con la famiglia Iozzo-Chiefari, dalla quale sarebbe arrivata una segnalazione «in ordine a una questione da risolvere con qualcuno “di là sotto”».
Per i magistrati è chiaro che le relazioni con il gruppo Fabiano sono subordinate ai legami storici con le associazioni criminali riconosciute nell’orbita ‘ndranghetista. Per risolvere problemi come la perdita di 100 grammi di cocaina sequestrati dalle forze dell’ordine, da San Luca chiedono di «portare la questione a un livello più alto». Dovrebbe essere il clan Procopio/Mongiardo a discutere con emissari delle cosche della Locrid. Lo spiega il solito Minnella attraverso una serie di messaggi. Nei quali «il riferimento ai “parenti” di Antonella Procopio (moglie di Giuseppe Fabiano, ndr), può essere ricondotto proprio agli esponenti della famiglia di ‘ndrangheta dei Procopio/Mongiardo di San Sostene a cui la consorteria di appartenenza di Minnella è legata da rapporti risalenti nel tempo agli anni 80». (p.petrasso@corrierecal.it)
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