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Il giallo del “Mediterraneo nero”

“Quello che non s’è mai capito, è che fine abbiano fatto queste navi…”, chiede il giornalista, al senatore ormai in pensione che anni prima aveva fatto parte dellaCommissione parlamentare d’inchie…

Pubblicato il: 20/05/2021 – 17:02
di Mimmo Nunnari
Il giallo del “Mediterraneo nero”

“Quello che non s’è mai capito, è che fine abbiano fatto queste navi…”, chiede il giornalista, al senatore ormai in pensione che anni prima aveva fatto parte della
Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti, e perciò si era occupato delle navi dei veleni affondate nel mare Mediterraneo. Il dialogo, tra il cronista e il vecchio ex parlamentare, è un passaggio chiave del romanzo inchiesta “Mediterraneo Nero” di Gian Luca Campagna, (editore Mursia, pagine, 280, euro 17). Si sa, che queste navi, navi a perdere, erano utilizzate dai colletti bianchi delle industrie italiane – in accordo con la criminalità organizzata – per smaltire rifiuti tossici e radioattivi. Li scaricavano in mare, i veleni, nel Mediterraneo, che, dice Campagna, sa di sole, di vento, di sale, anche di mirto e rosmarino. Campagna, cronista prima di tutto, ha scelto l’invenzione letteraria, il romanzo, per rendere più funzionale quella che, in realtà, è una coraggiosa inchiesta giornalistica sulla pratica criminale delle “navi a perdere”, diffusa tra gli ambienti industriali in combutta con le mafie. La camorra o la ndrangheta o la mafia, sono solo la parte finale del quadro, dice chiaro e tondo nel romanzo l’ex senatore, incontrato dal giornalista Francesco Cuccovillo, che è il protagonista che indaga, muovendosi tra magistrati corrotti, fidanzate petulanti, criminali pentiti, politici ambigui e ambientalisti disillusi.

La nave dei veleni del romanzo si chiama “Quadrifoglio rosso” (nome ricavato dalle storie reali delle reali Jolly Rosso, Karen B ed Eden V) e fa parte di quelle carrette del mare che registravano un carico ‘normale’ per poi sostituirlo con fusti tossici (scorie nucleari e chimiche) che venivano autoaffondate in punti abissali del mar Mediterraneo, sulle coste italiane, o in oceano Atlantico, al largo della Francia o del Portogallo, da armatori ed equipaggi senza scrupoli. «E’ facile capire che i colpevoli siamo tutti, Cuccovillo – dice l’ex senatore, spiegando il meccanismo – da chi dà il lavoro, a chi deve vigilare; così per il lavoro sporco si chiama chi è il cattivo della storia. E tutti noi ci mondiamo la coscienza. E’ così da sempre». Il processo – per smaltire i rifiuti tossici – industria armatore mafia, è metafora di ben altro, in un Paese con alto tasso di corruzione dove, “delegando”, ci si lava la coscienza. E il romanzo di Campagna, sulla tematica ambientalista, criminale e farsesca di una vicenda dimenticata, colpevolmente dimenticata, è perfetto per scoprire, in senso ampio, il confine tra verità e menzogna di molte cose italiane, dove il cattivo è l’alibi perfetto per l’ipocrita buono. “Mediterraneo Nero”, con la sua trama avvincente, che vede il protagonista dare la caccia ad un ingegnere lombardo, specializzato, durante gli anni Ottanta e Novanta, negli autoaffondamenti di navi stipate di rifiuti tossici, lungo le coste italiane e somale, tocca, nel periplo giornalistico dell’inchiesta, gran parte delle coste italiane, trattando, di ogni zona, la sua anima nera. È una sorta di Grand Tour del male, dove a un certo punto il protagonista, il cronista, che indaga, dice: «Todo modo para buscar la voluntad divina»; cioè ricercare la verità, seguendo la volontà divina, che è l’insegnamento di Ignazio di Loyola. La ricerca di Cuccovillo, si incrocia con le vicende disperate della rivoluzionaria còrsa Marie e del clandestino tunisino Kaled, altri protagonisti del noir, che più che fiction o narrazione romanzata, è realtà.

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