LAMEZIA TERME «L’imprenditore Giuseppe Prestanicola è di origine mafiosa, vicinissimo ai Vallelunga e ai Mancuso». Così il collaboratore di giustizia Andrea Mantella che nel corso dell’udienza del processo “Rinascita-Scott” di oggi – interrogato dal pm Annamaria Frustaci – ha continuato a parlare di estorsioni e di imprenditori considerati vicini alle cosche. Secondo Mantella l’imprenditore Prestanicola aveva in mano il monopolio dei lavori sull’autostrada, sul tratto di competenza della ‘ndrangheta vibonese che va da Pizzo a Rosarno. «Prendeva i soldi di altre ditte subappaltatrici e li divideva», dice Mantella il quale ricorda che erano gli inizi degli anni 2000 «perché ancora i Piscopisani non si erano affacciati nel panorama criminale». Per ogni Comune, lungo il tratto autostradale, c’era un locale di ‘ndrangheta, spiega Mantella, e chi prendeva i lavori «cercava di mettere d’accordo tutte le teste ‘ndranghetistiche con un “fiore”». Così hanno ricevuto “fiori” i Pititto, i Prostamo, i Galati, su Mileto, e i Vallelunga e gli Emanule nelle Serre e nelle Preserre vibonesi, spiega Mantella.
I lavori alla scogliera della Seggiola di Pizzo erano stati dati in appalto a una ditta di Cirò. «All’inizio la ditta non si era messa a posto», dice Mantella. La notizia era arrivata in carcere alle orecchie di Domenico Bonavota che aveva mandato un “pizzino” all’esterno a Barbieri che si interfacciò «con gli scagnozzi dei Farao (cosca egemone a Cirò, ndr)» perché si interfacciassero con l’imprenditore il quale pagò l’estorsione. Il collaboratore ricorda che era il periodo tra il 2008 e il 2010. «I Bonavota presero i soldi anche se poi intervenne un problema di vincoli paesaggistici e i lavori non proseguirono», asserisce Mantella.
Giuseppe Fortuna, detto “Pinu u Cacatu” era un operaio, un “carpentiere sotto padrone” che lavorava per Francesco Michele Pardea detto “Ciccio Bello”. «Poi si è messo nelle mani di Francesco Fortuna e dei Bonavota e ha cominciato a prendere lavori» aprendo una ditta di costruzioni. «La ditta era formalmente intestata a lui ma dietro le quinte c’erano i fratelli Pino e Francesco Fortuna e i fratelli Domenico e Pasquale Bonavota», racconta Mantella.
Giuseppe Fortuna ha due cugini, Francesco Fortuna e Giuseppe Fortuna detto “U Ragiuneri”. Secondo quanto racconta Mantella la ditta di “Pinu u Cacatu” era funzionale, oltre che ai Bonavota, anche ai fratelli Francesco Fortuna e Giuseppe detto “U Ragiuneri”.
Proprio a “U Ragiuneri” si sarebbe rivolto l’imprenditore Foti, titolare della Sud edil ferro perché aveva subito un’intimidazione con il ritrovamento di proiettili. La questione si risolse con il vantaggio per Giuseppe Fortuna, detto “Pinu u Cacatu” di acquistare sottocosto ferro e materiale edile. Il collaboratore racconta: “Io Francesco Fortuna non l’ho mai visto lavorare. Ho appreso queste informazioni perché la ditta di “Pinu u cacatu” ha fatto dei lavori anche per me. Inoltre io stesso nel 2009 mi sono speso per far prendere l’appalto delle pulizie alla ditta della moglie di Giuseppe Fortuna alias “Pinu u Cacatu” all’interno dell’Eurospin”.
Il boss delle Preserre vibonesi Bruno Emanuele, racconta Mantella, aveva trascorso un periodo di latitanza a Pizzo e venne sostenuto, nel suo sfuggire alla legge, da Domenico Ciconte, detto “Mimmo Berlusconi”, e da una donna che gli portava viveri e vestiti. La donna è la mamma, dice Mantella, di Salvatore Mazzotta, un ragazzo che «i Bonavota usavano su Pizzo per fare da sentinella o qualche piccolo danneggiamento». Mazzotta aveva una pescheria nella quale lavoravano i familiari. Il collaboratore dichiara di avere appreso quello che sa da Francesco Scrugli il quale gli raccontò che Mazzotta si era avvicinato ai Piscopisani con il benestare dei Bonavota. Un particolare, racconta Mantella, che dimostra come «i Bonavota e i Piscopisani si erano allineati nella politica del fare business». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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