REGGIO CALABRIA «Romeo riempie di dettagli il suo ruolo baricentrico essendo lui il soggetto che compone liste, indica candidati, fissa strategie e giunge a imporre ogni singolo passaggio a uomini politici già parecchio strutturati».
La «direzione strategica» della ‘ndrangheta, nella narrazione del pubblico ministero Giuseppe Lombardo, è strutturata in blocchi che partono da Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, le «menti pensanti» e a discesa comprendono Francesco Chirico, Alberto Sarra e Antonio Caridi. Figure che fungono da collante tra i mondi, utili per caratteristiche, “cerniere” di un sistema che si poneva l’obiettivo di «soddisfare la fame della ‘ndrangheta».
Stanno qui i passaggi principali dell’impianto accusatorio del processo “Gotha”, che registra quest’oggi un’altra udienza dedicata alla requisitoria dell’accusa, che condurrà fino alle richieste di condanna del prossimo 26 maggio.
«Quando iniziamo, Paolo, con questa serie di incontri? Ci organizziamo la strada che va seguita». Il pubblico ministero richiama l’attenzione della Corte presieduta dal giudice Silvia Capone su un’intercettazione del 2003 che vede protagonisti l’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra e l’ex deputato Psdi Paolo Romeo, tra i principali imputati.
«Sarra – dice Lombardo – è un interlocutore diretto di Romeo, rientra tra i soggetti ai quali vengono riconosciuti poteri valutativi. Soggetti tra i quali non rientra Giuseppe Scopelliti» ex sindaco di Reggio Calabria. Sarra è diverso da altri politici facenti parte del “sistema”, ma non è l’unico «attore funzionale al disegno di Paolo Romeo, che sa benissimo come la politica non si faccia senza partiti e come ci siano scelte che vanno strutturate secondo un disegno particolarmente articolato che non più baipassare il ruolo politico dei partiti».
Del sistema farebbe parte anche Totò Caridi, già nelle precedenti udienze descritto dall’accusa come soggetto vicino alle principali “famiglie” della provincia. «Sarra e Romeo si riferiscono a lui come potenziale vicesindaco di Reggio Calabria», ruolo che poi non rivestirà, benché avrà comunque la possibilità di ritagliarsi un assessorato di rilievo, «un ruolo strategico» nelle dinamiche di Palazzo San Giorgio.
«Quando parlo di Reggio Calabria laboratorio criminale, non dobbiamo limitare il riferimento alla città. La definizione non deve essere disgiunta dalla provincia che è la testa della ‘ndrangheta nel mondo». A macchia d’olio, il sistema coinvolge tra i più svariati comparti elettorali, locali e ultralocali: «Già a gennaio 2003 Romeo sa perfettamente cosa accadrà alle Europee 2004 non perché è dotato di capacità divinatorie ma perché è frutto dei suoi programmi di quelli di chi lo affianca». La candidatura di Pirilli, nella ricostruzione del pm, era necessaria per impedire quella di Scopelliti che «si stava muovendo in tal senso, prospettando la sua candidatura direttamente all’onorevole Fini», allora capo politico di An.
«Il loro obiettivo – aggiunge Lombardo – sarebbe stato raggiunto attraverso la candidatura di Pirilli che andava appoggiata con forza perché serviva bloccare Scopelliti a Reggio, in quanto funzionale a un determinato progetto, ma serviva anche ad aprire le porte della Regione ad Alberto Sarra».
Predisporre tutte le “pedine” nella giusta maniera sullo scacchiere, serviva per giungere all’obiettivo: «Come avvenuto al tempo del “pacchetto Colombo”, era necessario preparare il terreno per la gestione di un enorme flusso di denaro che doveva essere messo a sistema. Il progetto lo abbiamo illustrato più volte. – dice Lombardo – Parte dalle strategie politico-criminali per giungere all’obiettivo che possa soddisfare la “fame della ‘ndrangheta”». L’espressione è mutuata da un’intercettazione di Matteo Alampi, definito come componente dell’«articolazione imprenditoriale della cosca Libri», nome che torna spesso.
In altri termini, la ‘ndrangheta gode di ingenti «somme virtuali» che non sono spendibili sul territorio «se non passando dall’apparato statale». Da qui la necessità non di compenetrare la politica, ma di creare un unico sistema.
«La “‘ndrangheta di base” ha fame. Ha sempre fame perché gli uomini della “‘ndrangheta di base”, poveracci erano e poveracci rimarranno per sempre». In questo scenario, viene raccolto l’invito della «direzione strategica» a sostenere Giuseppe Scopelliti. «Se noi perdiamo la base – riprendendo un’espressione di Piromalli – abbiamo perso tutto. Perché senza corpo non c’è nessuna testa».
«Alla mente più raffinata che la ‘ndrangheta abbia mai avuto (il pm si riferisce a Paolo Romeo, ndr) non sfugge come Scopelliti sia funzionale al progetto. “Non ha le capacità politiche di Naccari Carlizzi – dice Romeo in un’intercettazione – ma è funzionale al nostro progetto perché è capace di fare il cane di mandria, ma perché è espressione dei padroni assoluti di tutti i padroni dei movimenti economici della città”. Ecco l’osmosi di tutte le componenti di un progetto ambizioso».
«Per gestire Scopelliti non era necessario che Romeo ci parlasse. Sapeva di avere a disposizione Sarra e Caridi, oltre che dell’”uomo cerniera” per eccellenza tra sovramondo e sottomondo, Franco Chirico. Sapeva perfettamente a chi era collegato Scopelliti e che quegli stessi soggetti erano collegati a lui. “Non ho necessità di fare altro perché tutto quello che di ulteriore vado a fare mi sovraespone”, dirà in quella circostanza».
Il progetto dovrà arrivare a coinvolgere la Regione Calabria. «Nell’estate del 2009, Silvio Berlusconi in persona rischia di inceppare questo meccanismo. E che dovesse essere coinvolta anche la Regione si capirà ancora meglio dal meccanismo ricavato dalle valutazioni di Giorgio De Stefano che prende in considerazione, come alternativa a Scopelliti, anche Agazio Loiero».
«Il panorama trasversale della ‘ndrangheta dimostra come le valutazioni vengano fatte senza alcun colore politico, come dimostra anche la carriera politica dell’avvocato Romeo».
«C’è stato un appoggio elettorale molto corposo nel momento in cui ha iniziato la sua avventura politica». Il pubblico ministero ripercorre l’ascesa dell’ex senatore, che gode dell’appoggio di Franco Chirico e del suo ruolo di “collante” con le “famiglie”, specificamente coi De Stefano. I due vivranno un momento di apparente distacco quando «quando Chirico deve soddisfare le esigenze insuperabili all’interno del disegno Romeo in relazione alle europee del 2004» passando a sostenere Sarra «in maniera quasi totalizzante».
«Caridi – dice il pm – è il prototipo del politico chiamato ad operare come uomo di ‘ndrangheta in questo circuito: mantiene rapporto col le famiglie di vertice del mandamento Centro, Ionico, Tirrenico. Questo, Romeo lo sa benissimo, come sa che è ambizioso ed utilizzabile a fini di governo». E così sarà. L’accusa si sofferma in tal senso sui rapporti del politico con i Pelle, che si ricavano, oltre che dalle dichiarazioni dei collaboratori, anche da una serie di intercettazioni e rilievi degli inquirenti.
Già nell’operazione “Inganno” era emerso come «Giuseppe Pelle [avesse] un modello di politico che è Totò Caridi». «La cosca Pelle non garantisce un appoggio elettorale in nome proprio, ma come vertice mandamentale perché l’operatività della ‘ndrangheta, anche in relazione ai flussi elettorali, va ritrovata all’interno dei vertici mandamentali», sottolinea Lombardo.
Di converso, «Totò Caridi – nelle parole dei collaboratori di giustizia – è ‘ndrangheta di Reggio quindi gli accordi che lo riguardano si prendono a Reggio. Lui è la plastica rappresentazione della ndrangheta unitaria di cui parla Peppe Pelle» motivo per cui «andrà a Roma, non per caso». Prima di arrivare a Roma, Caridi ottiene un «assessorato strategico» nella Giunta Scopelliti. «Caridi – evidenzia il pm – dimostra una particolare tendenza a delinquere anche per quelle che sono le dinamiche interne alla “Casa della libertà”, durante le primarie» frustrando ulteriormente l’apparato democratico della città (e non solo).
Lombardo si è soffermato anche sulla vicenda della Fata Morgana, la società mista che si occupava della raccolta dei rifiuti e che era infiltrata dalla cosca De Stefano. In
particolare il procuratore aggiunto ha ripercorso le dichiarazioni del pentito Salvatore Aiello il quale ha fatto riferimento “alle richieste che provenivano dalla cosca De Stefano attraverso i soggetti politici che all’interno di quel sistema ne rappresentavano gli interessi”. Politici che «Aiello – ripete in aula il pm – indica in Caridi e Scopelliti». Nell’ultima parte della requisitoria, Lombardo si è soffermato sulla figura dell’imputato Francesco Chirico, cognato dei boss De Stefano e in rapporti con Caridi e Sarra. Ricordando il memoriale del collaboratore Nino Lo Giudice che ha inquadrato Chirico come «membro della società segreta», secondo il pm «in quel contesto c’è anche Chirico Franco che non è stato mai, e non lo era certamente nel 2013, un nome altisonante all’interno della ‘ndrangheta reggina. Franco Chirico aveva sempre operato a livello di apparati statali con incarico dirigenziale, ma lo aveva fatto sempre senza alcuna sovraesposizione. Per ricostruire la sua concreta operatività e il suo diretto inquadramento al contesto associativo abbiamo dovuto lavorare parecchio».
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