CATANZARO Ha deciso di collaborare con la giustizia e appena una manciata di giorni fa ha parlato con il procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, con l’aggiunto Vincenzo Capomolla e il sostituto Stefania Paparazzo. Lui è Nicola Acri, 42 anni, alias “Occhi di ghiaccio”, pezzo da 90 della ‘ndrangheta rossanese negli anni a cavallo tra la fine del ’90 e gli inizi del nuovo millennio. Suo fratello nel corso di un processo testimoniò sulla loro infanzia, spesa nei cortili delle caserme. Nicola Acri era, infatti, figlio di un carabiniere. Da figlio di un maresciallo a capo della cosca Acri-Morfò di Rossano, “Occhi di ghiaccio” comincia presto la propria carriera criminale tanto da comandare sul proprio gruppo ad appena 21 anni.
Per dieci anni è stato detenuto al 41 bis, il carcere duro. In più occasioni ha tentato di ottenere la revoca della misura del 41bis senza riuscirci.
Ora sta parlando con la Dda di Catanzaro e le sue prime dichiarazioni riguardano una lunga serie di delitti che lo vedono protagonista e sui quali da tempo si tenta di fare piena luce.
Acri non è un soggetto qualunque.
«Nicola Acri è impressionante, usa due pistole contemporaneamente», dicono di lui in una intercettazione. Veloce e spietato con le armi, scaltro, capace di sfuggire alla giustizia per tre anni prima di essere catturato a Bologna nel 2010. Annoverato tra i 100 latitanti più pericolosi, si è fatto uccel di bosco pur riuscendo a curare i propri interessi commerciali, trafficando armi in Repubblica Ceca. Quando lo catturano gli trovano tre chili di plastico, una quantità dal potenziale esplosivo impressionante. Acri nel 2010 ha 31 anni e una fedina penale lunga e costellata di processi per omicidio e associazione mafiosa.
Ai carabinieri del Ros che lo hanno bloccato dopo tre giorni di pedinamenti, nella città emiliana, il boss dice: «Siete carabinieri? Complimenti siete stati bravi. Sono Nicola Acri». “Occhi di ghiaccio”, il killer dallo sguardo azzurro chiaro e dalla mira infallibile, aveva un covo nella zona di Comacchio, in provincia di Ferrara, dove si era trasferito da un paio di mesi per curare i propri interessi nella zona. Nel giorni precedenti era stato ripreso dalle telecamere di videosorveglianza di un centro commerciale della provincia di Ravenna con la moglie e il figlio. Ma poi aveva fiutato il pericolo e aveva deciso di darsi alla fuga. È stato fermato a bordo di una Ford Focus, era in possesso di documenti falsi. Per lui sono scattate le manette ed è finita la sua vita da uomo libero.
A meno di una settimana dalla collaborazione, il boss Acri ha fatto mettere a verbale dichiarazioni autoaccusatorie sul duplice omicidio di Giuseppe Cristaldi e Biagio Nucerito avvenuto il giorno dell’epifania del 1999. Dichiarazioni che il sostituto procuratore generale Luigi Maffia ha chiesto di mettere agli atti del processo d’Appello ter istruito su questo eccidio.
Un agguato che, secondo l’accusa, rientra nelle dinamiche per il controllo del territorio della Sibaritide, in particolare per quanto riguarda il traffico di droga. Nicola Acri, classe ’79, all’epoca aveva 20 anni. Questo processo il boss se lo porta dietro da oltre 20 anni tra condanne, rinvii e assoluzioni. Nel 2012 è stato condannato all’ergastolo, in primo grado, insieme al boss Francesco Abbruzzese, alias “Dentuzzu”. Condanna confermata nel 2014 dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro. La Cassazione ha poi annullato con rinvio a un nuovo processo d’appello che questa volta – presidente Gabriella Reillo – ribalta la sentenza in assoluzione per i due capicosca per non aver commesso il fatto. Sarà sempre la Cassazione a decidere per un appello ter, annullando con rinvio la sentenza di assoluzione. E giungiamo al 2021, al terzo processo d’appello. Questa volta con un elemento decisamente nuovo.
Poco cambia, comunque, per Nicola Acri, che è stato condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Primiano Chiarello, un giovane di Cosenza ucciso nelle campagne di Spezzano Albanese a giugno 1999. Chiarello faceva il rapinatore ma aveva deciso di cambiare clan. Lo cercavano i carabinieri per una rapina in una gioielleria ma per primo lo trovò, per sua sventura, Nicola Acri che lo portò in una stalla di cavalli allo Scalo di Spezzano Albanese dove Francesco Abbruzzese, alias “Dentuzzu” lo uccise. Il corpo venne fatto a pezzi e poi sparire.
Le dichiarazioni di Nicola Acri sono ancora in fase embrionale e al vaglio della Dda di Catanzaro. L’iter, così com’è stato per altri boss del calibro di Andrea Mantella o per killer come Raffaele Moscato, parte sempre dagli omicidi, quelli dei quali i collaboratori si autoaccusano. Allora ci si chiede cosa potrebbe dire Nicola Acri sulla strage di Strongoli, se aggiungerà elementi di novità alla vicenda dell’agguato che il 26 febbraio 2000 portò all’omicidio dei pregiudicati Otello Giarratano, Salvatore Valente e Massimiliano Greco. Sotto al fuoco esploso dai killer perse la vita anche il pensionato Ferdinando Chiarotti, reo di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Nel 2012 vengono definitivamente assolti Nicola Acri, Francesco Abbruzzese e Salvatore Giglio.
Nicola Acri è stato implicato anche nell’omicidio dell’imprenditore Luciano Converso, ucciso a Rossano il 12 gennaio 2007. L’omicidio fu subito inquadrato come delitto di mafia perché Converso, secondo l’accusa, era il contabile della cosca di Acri e avrebbe sottratto denaro alla consorteria. Alla sbarra finirono Nicola Acri, ritenuto il mandante, suo fratello Gennarino Acri e Massimo Esposito, ritenuti gli esecutori materiali. In primo grado tutti e tre vennero condannati all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Cosenza mentre, il 14 luglio 2011, i giudici di secondo grado ribaltarono la sentenza assolvendoli con la formula “per non aver commesso il fatto”. Sentenza divenuta in seguito definitiva. Adesso c’è attesa. Acri, in passato legato ai boss della mala cosentina, sta parlando. Sullo sfondo c’è una lunga scia di sangue sulla quale fare luce. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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