REGGIO CALABRIA Sono in tutto 19 le richieste di condanna avanzate dal procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, nel rito ordinario del processo “Gotha”. Oltre 250 è la somma complessiva degli anni invocati dalla procura reggina.
La condanna più pesante, pari a 28 anni di reclusione, è stata chiesta per Paolo Romeo, avvocato ed ex parlamentare Psdi, ritenuto la «mente pensante» della «componente riservata della ‘ndrangheta». Pene pesanti invocate anche per l’ex senatore Antonio Caridi e l’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra (20 anni a testa) che nell’organigramma dell’accusa sono considerati soggetti strumentali, benché integrati nel vertice criminale che si era posto come obiettivo quello di controllare le istituzioni per fare incetta dei fondi pubblici che sarebbero piovuti sul Comune e sulla Provincia di Reggio Calabria.
Nelle 13 udienza della requisitoria portata avanti dalla pubblica accusa rappresentata da Giuseppe Lombardo, Stefano Musolino, Giulia Pantano, Walter Ignazitto e Sara Amerio, è stato definito il volto di una ‘ndrangheta integrata nelle istituzioni. Temi che saranno al vaglio della Corte presieduta dal giudice Silvia Capone, che ha fissato la camera di consiglio per metà luglio.
«Dall’essere percepita come contropotere rispetto a quello nelle istituzioni – ha detto il procuratore – la ‘ndrangheta è diventata essa stessa istituzione. Da sempre ha individuato relazioni funzionali a svolgere il ruolo di compartecipe nella gestione politica, sociale ed economica della città. Nel farlo ha spesso mutato le apparenze fino a ricorrere a quelle forme massoniche deviate che meglio si prestavano ad occultare le relazioni personali e assumendo un ruolo baricentrico» nello scacchiere socio-istituzionale.
Anche per questo, l’Ufficio distrettuale reggino si è posto l’obiettivo di una «ricostruzione complessiva del fenomeno, anche storica. Al di là delle apparenze». Nel farlo, la procura è partita dai “soggetti riservati” che «mantenevano un ruolo di rispettabilità sociale tale da rendere altamente invisibile la loro identità mafiosa».
Si è trattato di un gioco delle parti permesso anche da un «palcoscenico in cui molti sapevano, ma facevano finta di non sapere». Un sistema che aveva portato alla compenetrazione nelle società miste, dell’ambito sanitario e che garantiva gestione e controllo di dinamiche economiche e sociali grazie all’apporto di amministratori corrotti e imprenditori.
«Abbiamo dimostrato, attraverso specifiche vicende, la capacità dell’associazione di relazionarsi con soggetti istituzionali» e questo processo è stato man mano apripista di un cambiamento sociale tradotto nell’aumento del numero dei collaboratori di giustizia e di sempre più imprenditori che decidono di rompere il muro dell’omertà.
«Nella ricostruzione accusatoria offerta nel corso del dibattimento non si trattava solo di descrivere la cornice in cui operavano, ma la capacità dei componenti riservati di operare in uno con la componente visibile della criminalità». La politica era il biglietto d’accesso per le istituzioni e i processi democratici venivano contaminati attraverso «lo spostamento di pacchetti di voti».
«Tutti i processi sono importanti. – chiosa Bombardieri – I processi penali incidono sulla qualità della vita delle persone. I giudici saranno chiamati a decidere. Ruolo non semplice. Ma il messaggio lanciato con questo processo è chiaro: far comprendere che oggi non c’è più spazio per gente che si vuole appropriare del futuro dei nostri figli».
x
x