CATANZARO La Corte d’Appello di Catanzaro – seconda sezione penale – composta dai giudici Caterina Spanò (Presidente) e a latere Angelina Silvestri e Assunta Maiore ha condannato Franco Muto a 20 anni di reclusione per il reato di associazione mafiosa. Per il “Re del pesce”, è stata disposta inoltre la misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di tre anni, la confisca dei beni e dei rapporti finanziari a lui riconducibili. L’accusa è rappresentata dal sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Romano Gallo. La decisione odierna ribalta quanto accaduto il 5 luglio del 2019, quando il Tribunale di Paola, dopo diverse ore di Camera di consiglio, aveva riconosciuto il dominio del clan su alcuni business illeciti del territorio ma al contempo aveva assolto Muto dal capo di imputazione 69, quello legato all’associazione mafiosa. Nella sentenza pronunciata questa mattina, Franco Muto, insieme ad Agostino Bufanio, Pier Matteo Forastiero è stato inoltre assolto dal reato al capo 58 (intestazione fittizia di beni) perché il fatto non sussiste.
Andrea Ricci è stato assolto per non aver commesso il fatto e i giudici hanno deciso di non procedere nei confronti di Angelo Chianello in ordine al reato contestato, per intervenuta prescrizione. Rideterminata la pena inflitta a Pierpaolo Bilotta, in 2 anni di reclusione e multa di 3.300 euro; per Alessandra Magnelli e Simona Maria Russo la pena passa a 3 anni e 9 mesi di reclusione con multa di 1000 euro; Antonio Mandaliti è stato condannato a 14 anni di reclusione ed infine Luigino Valente a 22 anni, 10 mesi e 10 giorni di reclusione.
Da quanto emerso nelle indagini, «Antonio Mandaliti sarebbe stato preposto al controllo del territorio al pari di Luigi Muto». È l’indagato di cui la Dda si occupa non solo per il ruolo centrale che si ritiene abbia avuto all’interno del monopolio del pescato ma anche perché parallelamente ne avrebbe messo in piedi uno tutto suo: quello dei servizi di lavanderia da offrire ai ristoranti. Di Antonio Mandaliti aveva parlato anche il collaboratore di giustizia Luciano Imperi. «Ha raccontato che trovandosi a corto di sostanze stupefacenti parlò con Mandaliti, ma che fu lo stesso imputato a dirgli che con lo stupefacente non aveva nulla a che fare in quanto non si occupava di queste cose ma solo di lavanderia».
La Corte d’appello di Catanzaro ha confermato quanto deciso già in primo grado in merito alle posizioni di Giorgio Ottavio Barbieri e Massimo Longo, assolti dai reati inizialmente loro addebitati. Secondo l’accusa avrebbero fatto parte del clan Muto. Nel procedimento “Frontiera”, Barbieri e Longo vengono tirati in ballo al seguito di una serie di intercettazioni telefoniche che finiscono nel fascicolo d’indagine.
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