TORINO La cabina «ballava» e, mentre risaliva la montagna, «c’era un forte rumore metallico». Tra gli ultimi a utilizzare la funivia del Mottarone prima dell’incidente in cui domenica sono morte quattordici persone c’era Claudio Nicolazzo, assicuratore calabrese di Platania, ma che vive e lavora a Zurigo, in vacanza sul Lago Maggiore con la famiglia. «Siamo stati gli ultimi, pochi secondi dopo e potevamo esserci noi», racconta in una video intervista all’Ansa, precisando che l’impressione avuta dell’impianto «non è stata affatto buona». «La struttura appariva molto vecchia e poco curata, non al livello di un polo turistico come quello – sostiene l’assicuratore – Abbiamo aspettato il nostro turno, poi abbiamo visto arrivare il gruppo di persone che purtroppo è rimasto coinvolto nell’incidente. I nostri figli si sono messi a giocare e parlare con gli altri bambini, per ingannare l’attesa. Poi siamo saliti e la mia impressione, non da esperto ma da semplice utilizzatore di impianti visto che spesso vado a sciare, sia in Italia che in Svizzera dove risiedo, non è stata del tutto positiva», ribadisce.
La vista mozzafiato sul lago ha fatto passare in secondo piano quel rumore metallico che, comunque, «non ci ha portato a immaginare nulla di grave». Lo schianto è avvenuto di lì a pochi minuti, ma una volta in cima al Mottarone «non abbiamo avuto nessuna percezione dell’incidente, perché non si è sentito nulla: nessun rumore né altri indizi che potevano far pensare a qualcosa di anomalo. Oltretutto il rumore del bob del vicino parco di divertimenti ha coperto gli altri suoni». Dopo qualche minuto, però, l’impianto di risalita si è fermato e la famiglia di origini calabresi ha realizzato che qualcosa non andava. «All’inizio, ingenuamente, abbiamo pensato alla pausa pranzo – spiega Nicolazzo -. Poi, visto che non accennava a ripartire, abbiamo cominciato a cercare su internet qualche notizia. E abbiamo realizzato, poco a poco, quello che stava accadendo». Era passata da poco l’ora di pranzo e la macchina dei soccorsi era già in moto. «Lo abbiamo capito dalle sirene delle ambulanze e dai numerosi elicotteri», ricorda senza nascondere lo choc per la notizia. «Da padre di famiglia, con i miei due bambini con me in quel momento, è stata ancora più drammatica: bastava nulla, una richiesta di mio figlio di andare al bagno o qualsiasi altro imprevisto, per ritardare cinque minuti e salire sulla cabina che e’ rimasta coinvolta nell’incidente».
x
x