«È necessario che l’uomo possa scegliere tra bene e male e che vi sia il caso in cui egli scelga il male. Privarlo di questa possibilità di scelta significa renderlo qualcosa di inferiore all’umano, un’arancia meccanica appunto».
L’essenza del film distopico di Stanley Kubrick si può racchiudere in questa riflessione che pone il tema centrale del libero arbitrio, della scelta consapevole libera da condizionamenti esterni e dall’intervento di uno Stato-Dio autoritario mosso sostanzialmente da intenti di profitto elettorale e ricerca del consenso. Uscito nel 1971 ed ispirato all’omonimo romanzo di Anthony Burgess “A Clockwork Orange” (che nello slang cockney dell’East London viene usato per indicare qualcuno di fortemente strano ma che si presenta naturale e normale in apparenza), “Arancia meccanica” compie 50 anni ma esprime ancora oggi la sua straordinaria contemporaneità attraverso la narrazione di una società caricaturale che replica sull’individuo con la stessa violenza che subisce spossessandolo completamente della sua libertà di decidere tra il bene e il male per assicurare un controllo pressoché totale delle masse e di conseguenza la stabilità sociale. Allora come oggi a scuotere le coscienze fu quel sentiment di piacere e perversione del protagonista Alex, leader e mente di una piccola gang criminale “i Drughi”, dedito all’esercizio di quella che lui definisce l’amata ultraviolenza, fatta di stupri, furti e bestialità senza morale, come nella scena cult del film definita “visita a sorpresa” in cui i Drughi violentano la moglie dello scrittore o durante lo scontro con una banda di teppisti in un teatro abbandonato sulle note della gioiosa “Gazza ladra” di Rossini. L’attualità del film la si ritrova nell’elemento ispiratore dei molti episodi di violenza compiuti dai nostri Drughi moderni e documentate dai media in questi anni, una bestialità amorale tipica di una disposizione d’animo squisitamente nichilista. Il nome del protagonista “A-lex” simboleggia un personaggio senza rispetto delle regole e delle leggi, aspetto che nel contesto del film è volutamente esasperato per far comprendere l’immoralità dell’azione compiuta dal governo attraverso la terapia sperimentale nota come “Trattamento Ludovico”, un lavaggio del cervello disumano che consiste nel guardare scene di violenza e stupro mentre si assumono droghe che inducono malessere, così da associare i comportamenti deviati a delle sensazioni sgradevoli e redimere qualsiasi delinquente dal compiere azioni criminose. Ma a differenza del libro in cui l’autore decide a seguito del trattamento di far imboccare ad Alex una ordinaria vita borghese, Kubrick stravolge il programma di “conversione forzata al bene” del protagonista, che torna quello di prima questa volta con il placet del governo. E la domanda esistenziale da porsi ancora oggi è se sia preferibile una società in cui la violenza sia un atto volontario o una società programmata per essere buona e inoffensiva. Cosa si è disposti a sacrificare pur di vivere in un mondo funzionale e sicuro? Gli istinti naturali dell’uomo, l’origine del male possono essere manipolati attraverso l’educazione, il sistema scolastico o l’intervento dello stato o rimangono apparentemente nascosti nella mente e nelle azioni potenziali dell’uomo, pronti a riaffacciarsi innescando un circolo vizioso dal quale non si può uscire?
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