Questa sera non sarò consolatorio. Vedo, davvero, una “grande cecità” del Sapiens dinnanzi alla crisi climatica. Voglio troppo bene ai miei tramonti per non essere vero. E propongo di leggere, con attenzione, “E se smettessimo di fingere? Ammettiamo che non possiamo più fermare la catastrofe climatica” di Jonathan Franzen.
«…se avete meno di sessant’anni, avrete buone probabilità di assistere alla totale destabilizzazione della vita sulla terra, carestie su vasta scala, incendi apocalittici, implosione di intere economie, centinaia di milioni di rifugiati in fuga da regioni rese inabitabili dal caldo estremo o dalla siccità permanente. Se avete meno di trent’anni, vi assisterete quasi sicuramente…ci sono due modi di affrontare il problema. Si può continuare a sperare che la catastrofe sia evitabile, e sentirsi sempre più frustrati o furiosi per l’inerzia del mondo. Oppure si può accettare l’idea che il disastro sta arrivando e cominciare a ripensare il significato della parola “speranza”…le mie speranze sono affidate non alla nostra capacità di evitare la catastrofe climatica, ma a quella di affrontarla in modo ragionevole ed umano…altri tipi di apocalisse, religiosa o termonucleare o asteroide, hanno almeno la nitidezza binaria del morire: il mondo esiste, e un istante dopo non esiste più. L’apocalisse climatica, al contrario, è caotica. Prenderà la forma di crisi sempre più gravi, che peggioreranno in modo disordinato, finché la civiltà non comincerà a disgregarsi. Le cose si metteranno molto male, ma forse non troppo presto, e forse non per tutti. Forse non per me».
*antropologo e docente universitario
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