«La situazione attuale della Calabria è figlia di un racconto imposto, di una visione, non visione, sempre arrivata da fuori, che al massimo, in loco, si è confrontata con interessi di gruppi, non generali. Non è mai prevalsa o non è mai stata tenuta in considerazione una visione che fosse calabrese, che rispondesse davvero alle esigenze regionali e le accordasse a un percorso comune col resto del Paese. Il “destino” non muta, la Calabria sta e starà fuori dalla storia perché non ha avuto e continua a non avere un proprio punto di vista. I suoi occhi sono romani o milanesi, sempre comunque di un altrove che scruta altri orizzonti e costruisce panorami in cui la Calabria può solo fare da comparsa. Per costruire un proprio racconto, che diventi progetto, prospettiva, bisogna imporlo, non supplicarlo. Da noi nemmeno la supplica c’è stata, solo la pronazione. I calabresi se ne vanno, più e più del passato, tanto che le uniche attività su cui conviene investire sono le compagnie di bus, persino Trenitalia chiude stazioni e compra corriere. Sui calabresi che restano ha buon gioco il feudo locale, che tratta e ottiene per se stesso, e gli altri si arrangino. Questa è la storia di oggi, non solo del passato. Rischia di essere la sola del futuro. E chi sta dentro proposte d’altrove, che siano di qua o di là o di altro, dovrebbe uscirne per creare un racconto diverso, territoriale, informato, e forte, talmente forte da imporre il progetto ai partiti di riferimento. Senza movimenti territoriali forti, in grado di discutere alla pari con le coalizioni nazionali a cui si ritiene di partecipare, non c’è una via che muti l’andazzo. “Scendono i plenipotenziari dei partiti, come consoli. A imporre non a discutere, a raccontare, non a sentire il racconto. E la nostra terra muore, prima di vergogna, che di fame».
*Scrittore
x
x