BOLOGNA «La strage dell’Italicus è stata una reazione contro Paolo Emilio Taviani per aver destituito Federico Umberto D’Amato». Lo ha detto l’ex esponente di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale Vincenzo Vinciguerra, oggi in aula per la seconda volta nell’ambito del nuovo processo sulla strage del 2 agosto 1980, che vede come principale imputato un altro ex di Avanguardia Nazionale, Paolo Bellini. Sotto accusa c’è anche l’ex carabiniere Piergiorgio Segatel per depistaggio e Domenico Catracchia, amministratore di alcuni immobili di via Gradoli a Roma usati come rifugio dai Nar, per false informazioni al pm al fine di sviare le indagini.
Vinciguerra ha toccato vari argomenti rispondendo alle domande della Procura generale, oltre all’Italicus, anche l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli e Ustica e ha cercato di inquadrare il ruolo di Avanguardia Nazionale negli anni 60 e 70. «Avanguardia aveva una doppia struttura, una ufficiale e una altra clandestina con il compito di recepire informazioni. C’erano elementi quadro – ha sottolineato il teste – che agivano allo scoperto ed elementi operativi clandestini che si infiltravano in partiti e movimenti di sinistra per conto del ministero dell’Interno. Avanguardia nazionale nella mia esperienza è stata una struttura con compiti specifici, ma poi ho dovuto convenire che era una struttura spionistica».
Il teste si è anche soffermato sui rapporti tra Avanguardia Nazionale e la ‘Ndrangheta, in particolare quella di Reggio Calabria. «Nel 1976 in Spagna ospitammo un ragazzo che aveva commesso un omicidio non politico, ammazzando un delinquente. Fu il nostro referente calabrese a chiederci di ospitarlo su richiesta degli amici degli amici. I rapporti con la ‘Ndrangheta sono stati molto forti al tempo del Golpe Borghese. Quello con la ‘Ndrangheta non era solo un accordo strumentale, ma di tipo organico: la ‘Ndrangheta vedeva Avanguardia come una forza che poteva mettersi contro lo Stato», ha concluso Vinciguerra.
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