COSENZA Cesare Battisti, l’ex terrorista che si trova in carcere nel penitenziario di Corigliano-Rossano ha nuovamente iniziato la sciopero della fame. La protesta è stata inscenata dal 2 giugno scorso e comunicata dallo stesso Battista in una lettera aperta in cui denuncia di essere l’«unico detenuto qui non legato al “terrorismo islamico”, ciò ha significato un isolamento totale di oltre 27 mesi, dei quali gli ultimi 8 senza mai esporsi alla luce solare diretta». Il riferimento è alla circostanza che l’ex terrorista si ritrova ristretto nella sezione speciale del penitenziario dove si trovano detenuti che si sono macchiati di reati terroristici, in massima parte integralisti islamici. Tanto che Battista segnala che «in questo reparto nulla è predisposto per i detenuti che non condividono i costumi e la tradizione musulmana».
Ma non è l’unico limite denunciato dall’ex brigatista dell’area in cui si trova rinchiuso. «Questo è l’unico reparto a Rossano – scrive – sprovvisto perfino delle mattonelle e di servizi igienici decenti; dove nessun operatore sociale mette piede. Il famigerato portone “antro ISIS” è tabù perfino per il Cappellano, il quale ha finora regolarmente ignorato le mie richieste di colloquio».
Secondo quanto segnalato da Battista, si troverebbe così ristretto in regime di fatto di carcere duro, nonostante, ricorda, la sentenza Corte d’Assise d’Appello di Milano, confermata poi in Cassazione, nel novembre 2019 avesse disposto il regime ordinario. Per queste ragioni l’ex terrorista aveva presentato istanza di trasferimento anche per avvicinarsi alla sua famiglia. Richiesta però poi respinta dall’amministrazione penitenziaria. Da qui l’amarezza e l’appello di Battista.
«Avevo riposto la speranza in quest’ultima istanza di trasferimento – si legge nella lettera dell’ex terrorista – immaginando che, dopo oltre due anni in condizioni estreme, le autorità non infierissero oltre, considerata anche l’età è il precario stato di salute. Ma anche e soprattutto per aver mostrato grande disponibilità alla riconciliazione con quei settori della società che più hanno sofferto le conseguenze della lotta armata degli anni 70, con particolare riferimento alle famiglie di tutte le vittime».
«Ho trascorso 40 anni in esilio conducendo una vita di cittadino contribuente – conclude Battista – perfettamente integrato alla società civile prezzo l’incessante attività professionale, il pacifico coinvolgimento nell’iniziativa culturale e nel volontariato, ovunque mi fosse stato offerto rifugio. Ricevendo anche encomi di portata internazionale».
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