REGGIO CALABRIA Sono Pasquale Zagari e Domenico Avignone i principali indagati arrestati oggi nell’operazione “Spes contra spem”. I loro nomi compaiono nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Tommasina Cotroneo su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Gaetano Paci e del sostituto della Dda Giulia Pantano. Dieci indagati sono finiti in carcere e uno ai domiciliari. Altre quattro persone, inoltre, sono indagate in stato di libertà.
I carabinieri hanno ricostruito le estorsioni ai danni di alcuni imprenditori che, interrogati dagli investigatori, hanno ammesso le vessazioni e le richieste estorsive subite dai due principali indagati: i boss Domenico Avignone e Pasquale Zagari. Quest’ultimo, anche evocando esplicitamente i morti della faida di Taurianova e la sua capacità di risolvere i problemi con la violenza, ha costretto imprenditori e cittadini a dazioni in denaro, sia per rafforzare la cosca e sia per il mantenimento delle famiglie in carcere.
Le vittime sono state anche costrette ad abbandonare i locali utilizzati per le loro attività commerciali. Secondo i pm, Zagari si è intromesso nella compravendita di terreni, chiedendo somme di denaro per autorizzare l’acquisto o comunque coartando la loro volontà nelle scelte imprenditoriali e private in favore di soggetti a lui vicini.
L’operazione, condotta nella Provincia di Reggio Calabria, Brescia e Monza-Brianza, ha visto impegnati i carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria, con il supporto di militari dei comandi provinciali competenti per territorio, dello Squadrone Carabinieri Eliportato “Cacciatori“ e dell’8° Nucleo Elicotteri di Vibo Valentia, sotto lo stretto coordinamento della Procura della Repubblica – Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, diretta dal procuratore capo Giovanni Bombardieri. I militari hanno dato seguito all’Ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria (Tommasina Cotroneo), su richiesta del procuratore aggiunto Calogero Gaetano Paci e del sostituto procuratore Giulia Pantano, nei confronti di 11 persone (di cui 10 sottoposti alla custodia cautelare in carcere e 1 agli arresti domiciliari), ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, detenzione illegale di armi anche da guerra, esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sostituzione di persona, truffa anche aggravati dal metodo e le finalità mafiose, avendo preso parte o comunque favorito la ‘ndrangheta nelle sue articolazioni territoriali operanti in Taurianova, denominate cosca Zagari-Fazzalari-Viola-Sposato-Tallarida e cosca Avignone, nelle loro attività di condizionamento e assoggettamento del territorio, delle persone e della locale vita imprenditoriale ed economica.
La complessa e articolata attività investigativa, convenzionalmente denominata “Spes contra Spem”, è stata avviata dalla Compagnia Carabinieri di Taurianova nel giugno 2020, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Reggio Calabria – D.d.a., pm Giulia Pantano, e supportata da attività tradizionali e specialistiche compresi servizi di osservazione e pedinamento, il tutto rafforzato dalle testimonianze di alcuni imprenditori vittime di estorsione.
La genesi dell’indagine è rappresentata dalla raccolta di alcune dettagliate informazioni, resa possibile dalla capillarità dei Comandi Stazioni profondamente inseriti nel tessuto sociale del territorio, che hanno fatto ipotizzare che alcuni imprenditori erano vittime di vessazioni ed estorsioni da esponenti della criminalità organizzata locale.
Lo sviluppo delle investigazioni, capillarmente coordinate dalla Dda reggina, ha permesso di riscontrare le prime informazioni acquisite nonché identificare alcuni vittime che, una volta sentite, hanno ammesso le vessazioni e le richieste estorsive subite da parte, in particolare, di due storici referenti mafiosi di zona, Domenico Avignone e Pasquale Zagari, quest’ultimo tornato a Taurianova dopo una lunghissima detenzione ed un periodo di sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale nel Nord Italia.
Proprio Pasquale Zagari, avvalendosi della fattiva collaborazione di partecipi e gregari, come Francesco Avati, Antonio Alessi e Rocco Leva, era tornato nel suo paese di origine da capo e reggente, referente mafioso per la risoluzione di qualsivoglia questione, anche privata, da vecchio ‘ndranghetista mai ravvedutosi realmente, che chiede il “pizzo” o cui ci si affida per la risoluzione di contrasti privati, tentando di ristabilire quel controllo egemonico del territorio scalfito dalle recenti operazioni di polizia. Pasquale Zagari era l’unico esponente di rilievo della famiglia ad essere libero da vincoli giudiziari, atteso che gli altri fratelli Giuseppe Zagari cl.’63 e Carmelo Zagari (cl.’69) sono detenuti, il primo condannato con sentenza definitiva alla pena dell’ergastolo ed il secondo condannato anche dalla Corte di Appello di Reggio Calabria nell’ambito procedimento penale c.d. “Terramara Closed” (esecuzione risalente al 2017) perché ritenuto appartenente ad associazione di tipo mafioso, unitamente alle sorelle, Italia Zagari cl.’59 (moglie dell’ergastolano Marcello Viola (cl.’59) e Rosita Zagari cl.’75, entrambe condannate per concorso esterno nell’ambito dello stesso procedimento “Terramara Closed”, ed al cognato Ernesto Fazzalari, marito di quest’ultima, anch’egli già condannato con sentenza definitiva alla pena dell’ergastolo per plurimi omicidi, e catturato dopo una ventennale latitanza nel 2016. Anche Pasquale Zagari, uno dei principali protagonisti della faida di ‘ndrangheta di Taurianova nei primi anni ’90, era stato condannato all’ergastolo, pena però poi rideterminata in 30 anni di reclusione, conclusi con un periodo di sorveglianza speciale nel Nord Italia.
Pasquale Zagari aveva anzi avviato un apparente percorso di “riabilitazione sociale”, partecipando a dibattiti, convegni e incontri, come testimone di redenzione, pentendosi del suo passato criminale, e contro l’ergastolo ostativo, in ultimo proprio a Taurianova, nel settembre 2020.
In realtà, proprio nei primi permessi rilasciati durante la sorveglianza speciale una volta uscito dal carcere, Zagari era ritornato a Taurianova per compiere le sue attività delittuose, insieme a nuove leve della criminalità organizzata.
In particolare, per come acclarato dalla complessa indagine, con la fattiva collaborazione di altri indagati, medianti gravi minacce, anche evocando esplicitamente i morti della faida di Taurianova e la sua capacità di risolvere i problemi con la violenza, ha costretto imprenditori e cittadini a dazioni in denaro, sia per rafforzare la cosca di appartenenza e sia per il mantenimento delle famiglie in carcere, o li ha costretti ad abbandonare i locali utilizzati per l’attività commerciale svolta, o ancora si è intromesso nella compravendita di terreni, chiedendo somme di denaro non dovute per autorizzare l’acquisto o comunque coartando la loro volontà nelle scelte imprenditoriali e private, in favore di altri soggetti a lui vicini. Zagari, da storico ‘ndranghetista, ha anche offerto e imposto la sua protezione mafiosa, non richiesta, alle vittime, in cambio di aiuti economici e favori, il tutto per tentare di ristabilire il controllo egemonico del territorio e ottenere l’assoluto riconoscimento di “capo”. Proprio a causa della violenza e insistenza delle sue pretese, nell’ottobre 2020 è stato arrestato in flagranza dai carabinieri di Taurianova, in occasione dell’ennesima “visita” ad una delle vittime, in realtà vicenda rientrante in un più ampio piano delinquenziale.
In tali gravi fatti entrano in gioco anche altri soggetti, come Marzio Pezzano, Giuseppe De Raco, Giuseppe Cannizzaro, i quali, benché apparentemente estranei a contesti mafiosi, si erano rivolti a vario titolo proprio a Pasquale Zagari per risolvere forzatamente in loro favore le controversie in corso con alcune delle vittime delle condotte estorsive (anche al fine di ottenere il rilascio dei locali utilizzati per le attività aziendali), così divenendo veri e proprio mediatori, partecipi e “mandanti” delle azioni delittuose, ricercando e ottenendo quell’aiuto “mafioso” che rafforza e fortifica la criminalità organizzata nel territorio, in sostituzione dello Stato. Una richiesta illecita di aiuto che però si è ritorto contro di loro, essendo stati destinatari di misura cautelare quali concorrenti in estorsione aggravata dal metodo e finalità mafiose.
Significativo anche il ruolo di due cugini indagati in stato di libertà che, benché già ritenuti appartenenti alla cosca di ‘ndrangheta “Asciutto-Neri-Grimaldi”, al tempo della faida contrapposta agli Zagari, oggi, per quanto ipotizzato dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, per garantire quella “Pax mafiosa” faticosamente raggiunta, hanno svolto un ruolo di mediatori in favore di Zagari e in danno di una delle vittime, organizzando e favorendo incontri e persuadendola ad accettare le pretese estorsive.
L’indagine ha consentito di acclarare anche come Domenico Avignone, al momento ricercato e anche lui già condannato per reati associativi, figlio dello storico capo Giuseppe Avignone cl. 38 – già condannato all’ergastolo e protagonista dalle Strage di Razza’ del 1977, quando furono trucidati i carabinieri Stefano Condello e Vincenzo Caruso – ha voluto mantenere nel territorio la sua autorevolezza mafiosa, offrendo “protezione” non richiesta nei confronti di alcuni imprenditori, risolvendo loro problematiche emergenti o rassicurandoli per lo svolgimento “in sicurezza” del loro lavoro, chiedendo in cambio dazioni in denaro, non necessariamente di grande entità; tutti elementi qualificanti di quella “estorsione ambientale” che rafforza la criminalità organizzata nel territorio. Anche lui si è intromesso nell’acquisto di terreni e immobili, arrogandosi il potere di rilasciare un ‘nulla osta’ in favore di qualcuno piuttosto che di altri e avendo il potere di estromettere eventuali soggetti non graditi interessati all’acquisto. Sono stati poi ulteriormente documentati i suoi costanti e attuali rapporti con altre cosche di ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, in particolari i “Pisano” di Rosarno, soprattutto quale referente nel settore dello smercio di sostanze stupefacenti. Una figura che, nonostante l’avvio e conduzione di una attività commerciale legale e un atteggiamento apparentemente meno violento e riservato, ha continuato ad esercitare carisma criminale e influenza mafiosa.
Articolata poi la parallela vicenda ricostruita in indagine che ha visto come principali protagonisti i Claudio e Giuseppe La Face, zio e nipote, imprenditori di Taurianova, nonché la moglie del primo, Annalisa Caridi, i quali, nel contesto della paura e dell’omertà esistente nel territorio, hanno compiuto numerose minacce per ottenere del denaro da altro locale imprenditore. I tre, infatti, a vario titolo, approfittando di problematiche personali e sentimentali di una delle vittime, hanno fatto leva su loro presunti collegamenti con le cosche di ‘ndrangheta di Cittanova, i cui esponenti potevano risolvere i suoi problemi, imponendo protezione e aiuto mafioso, però costringendo la vittima, anche minacciando gravi ripercussioni in caso di inottemperanza, a numerose dazioni in denaro in loro favore, per diverse decine di migliaia di euro. Per attuare il loro piano criminale, addirittura, hanno talvolta ingannato la vittima sostituendosi direttamente a presunti esponenti della criminalità organizzata cittanovese, inviando messaggi diretti e indiretti per convincerlo a consegnare celermente loro il denaro o costringerla al pagamento di bollette, utenze, rate di finanziamenti ed altro.
Le attività investigative condotte dai carabinieri di Taurianova hanno poi dimostrato l’attuale e rilevante pericolosità del sodalizio mafioso, con il rinvenimento e sequestro di due fucili mitragliatori “Zastava” mod. “M70” cal.7,62×39 mm., armi da guerra, un fucile cal. 12 “beretta” mod. “Sauer” con matricola punzonata, numerose munizioni di vario calibro, due giubbotti antiproiettile, nonché una bomba a mano da guerra modello “m53 p3” di provenienza slava.
L’operazione odierna colpisce ancora una volta la presenza della ‘ndrangheta nel territorio taurianovese, i cui esponenti, avvalendosi della forza di intimidazione promanante dal vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di omertà che ne derivano, sono in grado di mantenere il controllo egemonico del territorio in svariati settori creando quell’assoggettamento psicologico ed economico di cittadini ed imprenditori, per coartarli nelle loro scelte individuali e ponendosi quali non imparziali “arbitri” nelle controversie tra privati, in sostituzione della Legge e dello Stato. Ancora una volta viene però dimostrato come l’unica vera e risolutiva via di uscita da una tale asfissiante situazione è rappresentata dalla denuncia e la piena collaborazione con i Carabinieri e la Magistratura.
I soggetti destinatari della misura cautelare, tutti originari di Taurianova, sono:
Sono inoltre indagati in stato di libertà:
La faida di Taurianova, scatenatasi a cavallo degli anni ’80 e ’90, aveva infatti visto contrapposte la ‘ndrina Zagari-Viola-Avignone detta comunemente “cosca di Jatrinoli” e la “cosca di Radicena”, all’interno della quale erano aggregati gli Asciutto-Neri-Grimaldi.
Il potere mafioso su Taurianova, durante gli anni ’80, veniva esercitato in un regime di “monopolio” dalla famiglia Avignone, rappresentata dai fratelli Filippo cl. ‘29 (deceduto poi per cause naturali), Giuseppe cl. ‘38 ed Antonio cl. ‘31. Tuttavia una serie di eventi provocavano uno squarcio all’interno di tale consorteria, primi fra tutti gli arresti operati nei confronti di Giuseppe Avignone cl. ’38 ed altri, a seguito del processo, definito dalla Corte di Assise di Palmi il 21.7.1981, concernente anche la tristemente nota strage di Razzà del 10 aprile 1977.
Storico capo della cosca di Jatrinoli divenne Giovinazzo Domenico cl. 45, espressione della famiglia Avignone, che scarcerato nel 1988, riusciva a mantenere il dominio della famiglia di origine, riorganizzando il clan e dando nuova linfa all’organizzazione criminale.
Per la sua ferma e netta presa di posizione contraria all’ingresso della ndrangheta nel mercato della droga fu ucciso dal gruppo mafioso di Radicena. L’assassinio di Domenico Giovinazzo, nel maggio del 1990, diede la stura ad un cruento conflitto tra il gruppo dominante, in cui primeggiava Rocco Zagari, e quello degli Asciutto della cosca di Radicena, in ascesa nei circuiti criminali e soprattutto nel traffico degli stupefacenti, alla cui affermazione si era opposto Giovinazzo Domenico.
Nella faida fu ucciso nel giugno del 1990 anche Francesco Asciutto, padre di Santo, successivamente a capo della consorteria di Radicena nel periodo più acceso della faida.
Zagari Rocco (padre di Zagari Pasquale cl. 64) veniva quindi ucciso il 2 maggio 1991 mentre si trovava in una sala da barbiere a Taurianova.
Di qui il sanguinoso scontro, consumatosi il 3 maggio 1991, un “venerdì nero” appunto allorquando la furia vendicativa degli Zagari si concretizzò in molteplici attentati ai danni di esponenti della cosca rivale.
In quel triste venerdì 03.05.1991 (c.d. venerdì nero), in risposta all’uccisione di Rocco Zagari cl. ’32, , avvenuta nel primo pomeriggio del 2.5.1991, venne perpetrata la strage di quattro persone, colpevoli di avere legami parentali con accoscati del gruppo contrapposto, ovvero quello degli Asciutto – Neri – Grimaldi.
Nello specifico, il primo omicidio di quel 03.05.1991, si concretizza alle ore 12:30, quando Pasquale Sorrento cl. ‘62 veniva raggiunto da diciannove colpi di arma da fuoco. Solamente quattro ore più tardi in via Grimaldi, nei pressi dell’Ufficio Postale, vengono assassinati i due fratelli, Giuseppe (cl. ’37) e Giovanni Grimaldi cl. 32; rispettivamente padre e zio dei due collaboratori di giustizia, Vincenzo Grimaldi cl. ‘71 e Salvatore Grimaldi Roberto cl. ‘68, uomini di fiducia di Santo Asciutto cl. ‘64.
Le due vittime, lontane da ogni ambiente delinquenziale, erano stati trucidate con numerosi colpi d’arma da fuoco, tanto che la testa di Giuseppe Grimaldi fu staccata dal tronco e ritrovata a circa otto metri di distanza dal corpo. Gli accertamenti balistici effettuati dimostrarono che uno dei fucili utilizzati in questo duplice omicidio era stato anche usato per uccidere il Sorrento. Sempre nella stessa giornata, alle ore 20:30 viene eseguita l’uccisione anche di Rocco La Ficara cl. ‘59.
Alla mattanza del “Venerdì nero” di Taurianova seguì una forte mobilitazione sociale e mediatica, oltre che una vigorosa reazione delle autorità politiche centrali.
Il 31 maggio 1991, il decreto legge 164 introduce le “Misure urgenti per lo scioglimento dei consigli comunali e provinciale e degli organi di altri enti locali, di tipo mafioso”. Il Prefetto di Reggio Calabria dispose la immediata sospensione del consiglio comunali di Taurianova , successivamente sciolto con dpr il 02 agosto del 1991.
All’ampiezza dell’arco temporale di azione delle due cosche, è correlato il cospicuo numero dei fatti delittuosi (20 omicidi, 10 tentati omicidi, episodi di estorsioni tentati e consumati, porto e detenzione di un rilevante numero di armi), realizzati con una successione cronologica a volte terrificante, in quanto ad un omicidio ai danni di un gruppo, seguiva immediatamente la risposta di sangue dell’altro che, volendo essere maggiormente “efficace” sul piano criminale, si caratterizzava per una violenza ed efferatezza inaudita.
La faida si concluse con la prevalenza della cosca di Jatrinoli però falcidiata da numerose operazioni giudiziarie.
Dopo un periodo di detenzione e di sorveglianza speciale, Zagari Carmelo divenne l’esponente di maggiore rilievo.
Infatti Marcello Viola classe 1959 (genero di Rocco Zagari per averne sposato la figlia Zagari Italia), Giuseppe Zagari e Pasquale Zagari (entrambi figli di Rocco Zagari e fratelli di Carmelo) erano stati condannati a lunghe pene detentive e Fazzalari Ernesto (ritenuto parte della famiglia Zagari perché fidanzato di Rosa Zagari, figlia di Rocco e sorella minore di Zagari Giuseppe, Pasquale e Carmelo) si era dato alla latitanza.
Il primo accertamento giudiziale, in ordine temporale, quindi, circa la sussistenza ed operatività a Taurianova e comuni limitrofi della cosca Viola-Fazzalari-Zagari si ha con la sentenza del procedimento “Venerdì Nero”, emessa dalla Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria in data 10 febbraio 1999, divenuta definitiva in data 27 novembre 2002.
La successiva sentenza della Corte di Assise di Palmi del 22 settembre 1999, nell’ambito del procedimento “Taurus” a carico di Abramo Francesco + 79, invece, verteva, come detto, su una serie di omicidi e tentati omicidi susseguitisi verso la fine degli anni ’70 a Taurianova, riconducibili alla faida che insanguinò quel centro urbano fino agli anni ’90, scoppiata dopo l’omicidio di Rocco Zagari, avvenuto il 2 maggio 1991.
Secondo la ricostruzione fatta in sentenza, le organizzazioni che si sono fronteggiate aspramente sono state quelle facenti capo alle famiglie Asciutto-Neri-Grimaldi (legate al gruppo dominante sull’intera piana di Gioia Tauro delle famiglie mafiose dei Piromalli e dei Molè) e quelle facenti capo alle famiglie Avignone-Zagari-Fazzalari-Viola.
I due gruppi venivano indicati rispettivamente come “cosca Radicena” e “cosca Iatrinoli” in relazione alla denominazione del rione di provenienza all’interno del paese di Taurianova dei rispettivi accoliti.
Nella sentenza venivano ripercorse:
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