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I retroscena

Le dichiarazioni strategiche di Grande Aracri per “salvare” la famiglia

Dalla moglie che «non sa fare una “O” con un bicchiere» al fratello che «non si metteva sicuro in qualcosa di illecito». Tutte le affermazioni che portano alla «totale non credibilità» del boss

Pubblicato il: 09/06/2021 – 20:08
di Alessia Truzzolillo
Le dichiarazioni strategiche di Grande Aracri per “salvare” la famiglia

CATANZARO «Totale non credibilità del dichiarante». Così i magistrati della Dda di Catanzaro stroncano le dichiarazioni rese da Nicolino Grande Aracri, il boss di Cutro che sta scontando l’ergastolo al 41bis e che aveva chiesto di parlare con l’antimafia di Nicola Gratteri. Una richiesta di collaborazione che arriva pochi giorni dopo l’operazione “Farmabusiness” nel corso della quale erano stati attinti familiari tra cui la moglie di Nicolino Grande Aracri, Giuseppina Mauro e la figlia Elisabetta.
A distanza di pochi mesi e di diversi incontri le conclusioni dei magistrati si risolvono in un pollice verso. Le considerazioni stilate dal procuratore Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Capomolla e dai sostituti Domenico Guarascio e Paolo Sirleo sono gravi: «…appare univoco il tentativo del dichiarante di infrangere, con la sua collaborazione, le plurime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che si sono già espressi a carico del propalante e dei suoi familiari e sono stati valutati attendibili», scrivono i magistrati nelle 90 pagine di una relazione messa oggi agli atti di un procedimento davanti al gip. Secondo la Dda l’intento di Grande Aracri era piuttosto quello di scardinare quanto già appurato in sentenze divenute irrevocabili a carico dei familiari e dei complici più fidati. Non a caso, dopo gli interrogatori del 21 e 22 aprile scorso, Grande Aracri aveva spedito una missiva ai propri familiari nella quale era contenuta la frase: «La farsa è finita».

Tre temi che poco convincono la Dda

Il convincimento sulla non credibilità del collaboratore passa attraverso l’analisi di tre distinti temi sui quali il boss avrebbe dimostrato di non raccontarla giusta.
Da una parte vi sono le dichiarazioni che Grande Aracri ha reso sui propri familiari; le dichiarazioni sulle possidenze economiche e finanziarie del sodalizio capeggiato da Grande Aracri; le dichiarazioni sugli omicidi che hanno visto protagonista non solo Grande Aracri ma anche sodali e familiari; le dichiarazioni sull’analisi delle più recenti affermazioni dei collaboratori di giustizia. Ma facciamo qualche esempio concreto tratto dagli interrogatori resi dal boss di Cutro.

La famiglia

Gli investigatori hanno registrato nella tavernetta di Nicolino Grande Aracri, anche in sua assenza, l’andirivieni di imprenditori, i summit. «I familiari del dichiarante – scrive la Dda – convocano imprenditori per richiedere somme di danaro già pattuite e sovraintendevano ad incontri con altri esponenti criminali, ricevendo altresì richieste di intercessione quali autorità riconosciute sul territorio. Ebbene, sin da subito, le dichiarazioni del Grande Aracri intervenivano a sminuire la rilevanza degli elementi di accusa».
Sul ruolo della moglie e della figlia, per esempio, dice: « Dottò, allora scusa, no? …voi state parlando di ruoli e non ruoli, io secondo me non hanno nessun ruolo, perché il ruolo che loro hanno, l’hanno perché diciamo nta quella tavernetta era un centro operativo, io parlavo là, loro ascoltavano magari e non è perché ero là che parlavo e quando ascoltavo loro erano complici di quello che facevo io».
Anche per quanto riguarda suo fratello Domenico Grande Aracri, coinvolto nel procedimento “Farmabusiness” – sull’affare illecito del traffico dei medicinali nel quale la cosca avrebbe investito denaro provento di attività crimnali – il boss di Cutro da un lato dice di non saperne niente, dall’altro afferma sicuro: «Ma se c’è stato mio fratello Domenico, sicuramente… sicuramente se c’era qualche cosa di illecito sicuramente non si mintìva, sicuro, sicuramente al cento per cento». Il procuratore Guarascio gli fa notare che « Questo lei non lo sa. Lei della questione dei farmaci non sa praticamente nulla». Al che Grande Aracri tenta una virata: «No, no, perché non c’era in programma, se c’era ne parlavamo pure ntu Kyterion insomma alla fine».

«Mio nipote parlava pure con le femmine»

Pur di condonare la condotta di sua moglie, Nicolino Grande Aracri è disposto a sminuirne la figura: « Allora, no perché mia moglie non sa fare na “O” cu nu bicchiere diciamo, capite il problema? Allora, no? …mia moglie ogni volta magari quando mio nipote si sedeva al tavolo, parlavano lì e poi gli faceva: “Marì…”, o, “…signora, voi che dite, è giusto così?” E quella dice: “Sì, è giusto”. Poi magari non sapeva nemmeno di che cosa si parlava».
Nell’affare dei Farmaci un ruolo chiave lo ha avuto il nipote Salvatore Grande Aracri. Un ruolo che emerge, in particolare, nel corso di summit che si è tenuto il 7 giugno 2014 nella famosa tavernetta a casa Grande Aracri. Assente il padrone di casa che si trovava in prigione, erano presenti il genero del boss Giovanni Abramo, il nipote Salvatore Grande Aracri, la moglie Giuseppina Mauro, Francesco Le Rose, il commercialista Leonardo Villirillo e l’imprenditore e mentore della cosca nell’area catanzarese Domenico Scozzafava. Gli investigatori registrano ogni parola detta nella tavernetta, ogni proposito di mettere su l’affare della distribuzione dei farmaci, l’intenzione di mettere davanti al progetto la figura di “zio Mimmo”, ovvero Domenico Grande Aracri. «Nella circostanza – è scritto nei brogliacci di “Farmabusiness” –, Salvatore Grande Aracri, con l’aiuto del commercialista Leonardo Villirillo, parlava alla zia Giuseppina Mauro e al cugino acquisito Giovanni Abramo della iniziativa relativo il Consorzio Farmaceutico che era ancora nella fase embrionale e per la cui apertura mancavano le relative autorizzazioni e licenze». Tutti, insomma, erano partecipi del progetto, stando alle intercettazioni.
Sull’argomento, interrogato Nicolino Grande Aracri, non solo ridimensionava la portata del dialogo «intrapreso fra i maggiorenti della sua famiglia, ma pure – scrive la Dda – attaccando la caratura criminale del nipote Salvatore Grande Aracri in seno al sodalizio da lui capeggiando giacché, col suo atteggiamento, aveva “inguaiato” i suoi familiari».
«Perché mio nipote Salvatore “u Calamaro”, chidhu dha, no? …quello là no?… – dice Grande Aracri il 21 aprile 2021 – pìava, si presentava a ra casa, s’assettava dha comu u Papa, d’accussì si mintìa e parlava con tutti quanti là, parlava con tutti quanti, magari quello parlava anche con le donne, parlava di qualsiasi cosa parlava pure cu i fimmini. Però alla fine mettiamo, no? …voi vedete, no? …voi vedete se quando c’ero io se quello lì qualche volta ha venuto dha a parlare cu mmia!».
Grande Aracri si dice arrabbiato col nipote perché ha coinvolto i parenti «dentro queste storie». « Ma è normale ca sugnu arrabbiato, perché hanno coinvolto i miei familiari nta ‘sti storie dhuocu. E’ normale». Quindi se poi moglie e genero rispondono è colpa del nipote che ha aperto il discorso e li ha coinvolti. «Sì, ma io sto dicendo… ma scusate, ca parlu io ca sugnu u patruna d’a casa, u capu d’a casa, parlu ia e che venite voi come nipote e v’i partiti e Reggio Emilia v’azziccati e v’assettati dha a lu tavulu e parrati dei fatti vostri e poi magari c’è anche mia moglie e i miei figli e magari ti risponde i miei figli o mia moglie». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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