Al Sud si investe meno che al Nord. Un leitmotiv che questa volta riguarda il settore idrico, dove gli investimenti nel Meridione raggiungono una media procapite di 26 euro, nel Settentrione arrivano a 65 euro e nei Paesi come la Danimarca e la Germania si attestano anche a 90 euro. La gestione dell’acqua pubblica, poco efficiente in tutta la Penisola rispetto alle altre nazioni europee, risulta ancor più problematica in Calabria, dove Sorical – società che si occupa delle risorse idriche sul territorio regionale – ha delegato i Comuni nella raccolta delle utenze, provocando disagi e un grave squilibrio finanziario. Le cause delle inefficienze, nella nostra regione e soprattutto nel Meridione, vengono fatte risalire a un’amministrazione pubblica carente. Emerge – secondo l’analisi del Sole 24 ore – la mancanza di modelli virtuosi di gestione in queste aree, dove stenta ad esserci un’aggregazione di realtà più piccole, che porterebbe ad avere una maggiore forza negli investimenti da impiegare e una migliore capacità organizzativa. I gestori industriali più grandi, con fatturati superiori ai 100 milioni, per esempio, investono mediamente 55 euro procapite (con punte massime di 65), quelli con un fatturato sotto i 10 milioni investono 33 euro (con punte minime di 26), mentre le gestioni “in economia” cioè senza società ma solo con funzionari comunali arrivano a impiegare solo 8 euro pro capite. In generale le società che riescono a fare investimenti più consistenti sono quelle grandi che operano con economie di scala su territori più ampi, queste si trovano quasi sempre nelle aree più industrializzate del Paese, ovvero al Centro Nord. Al Sud invece c’è molta frammentazione e i Comuni stentano ad affidare il servizio idrico ad un operatore, che sia privato o meno, creando una “mala gestione” e arrecando disagi ai cittadini. Le situazioni peggiori – secondo il Sole 24 ore – si rilevano in Calabria, Campania e Sicilia.
Circa dieci anni fa il referendum abrogativo ha stabilito la gestione in house dell’acqua, favorendo l’affidamento diretto delle gare agli enti pubblici e sventando la possibilità di assegnazioni a società private che, all’epoca, si temeva potessero cogliere l’occasione per lucrare. A distanza di un decennio questo timore risulta infondato: le società private nel settore sono solo l’1% e un altro 1% è rappresentato da quelle miste a carattere privato. Ben il 54% è costituito da società pubbliche e il restante 33% di di società miste controllate dal pubblico. In sintesi la gestione pubblica di una risorsa primaria come l’acqua non è stata una garanzia di efficienza e di democrazia stando ai dati a disposizione negli ultimi dieci. Aspetti negativi a parte in Italia si stanno facendo dei passi in avanti, infatti, dal 2011 al periodo del lockdown gli investimenti in questo ambito sono aumentati notevolmente fino ad arrivare a 3 miliardi complessivi di euro, coperti per un quarto dalla fiscalità generale e il resto dalla tariffa. Il fabbisogno sarebbe però di 5-6 miliardi l’anno: «E’ sempre preferibile ancorare gli investimenti alle tariffe, perché la fiscalità generale è più a rischio, può variare di anno in anno – afferma giordano Colarullo di Utilitalia – in generale oggi dovrebbe riuscire a colmare il gap tra Centro-Nord e Sud, e poi – conclude – puntare a raggiungere le performance dei migliori Paesi europei».
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