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l’incontro

Gratteri: «Dateci le stesse infrastrutture che ha la Lombardia, al resto ci pensiamo noi» – VIDEO

Il procuratore di Catanzaro presenta a Vibo il libro “Non chiamateli eroi” e boccia le riforme pensate per la giustizia. Il suggerimento per le Regionali: «Non votate chi chiede consensi in cambio …

Pubblicato il: 14/06/2021 – 21:11
di Alessia Truzzolillo
Gratteri: «Dateci le stesse infrastrutture che ha la Lombardia, al resto ci pensiamo noi» – VIDEO

VIBO VALENTIA «Il nostro obiettivo è quello di umanizzare e fare diventare vicine e abbordabili queste persone che hanno perso la vita nella lotta contro le mafie. Il nostro intento è quello di non considerarli irraggiungibili perché il target dell’irraggiungibilità scoraggia dal seguirne l’esempio». Il cuore e l’intento del nuovo libro del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e dello storico e scrittore Antonio Nicaso – “Non chiamateli eroi. Falcone, Borsellino e altre storie di lotta alle mafie” – è stato sintetizzato dal procuratore Gratteri nel corso di un incontro che si è tenuto a Vibo nello slargo della chiesa di San Giuseppe. Il volume è dedicato ai ragazzi, narra 14 vite, 14 storie da non dimenticare. Insieme a quelle dei giudici Falcone e Borsellino vengono raccontati il coraggio di Lea Garofalo, il sacrificio del magistrato Rosario Livatino, l’innocenza dei piccoli Giuseppe Letizia, Nicola Totò Campolongo, Giuseppe Di Matteo. Nicola Gratteri ha raccontato – intervistato dal sindaco di Vibo Maria Limardo e dal direttore scientifico del sistema bibliotecario della città – il bisogno di narrare anche la vicenda di Rocco Gatto, mugnaio morto a 51 anni a Gioiosa Ionica, un uomo capace di ribellarsi alla tracotanza e prepotenza del clan degli Ursini. Sapeva che poteva morire, Rocco Gatto, lo sapeva al punto da girare con un fucile in macchina. Il procuratore spiega di avere voluto parlare e conoscere i familiari del mugnaio che oggi come allora sono persone vicine alle forze dell’ordine e coraggiose.

L’intervista

«Ragionamenti un po’ strani»

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Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri

Inevitabili le domande sull’attualità e sulle riforme sulle quali il governo sta lavorando. Il procuratore non ha nascosto di essere «un po’ arrabbiato perché si stanno facendo ragionamenti un po’ strani». «Oggi molti benpensanti si meravigliano della scarcerazione di Brusca ma qui stiamo galleggiando nell’ipocrisia. Con pacatezza si va verso riforme che se dovessero passare – ha spiegato Gratteri – potrebbero portare a far uscire dal carcere persone che non hanno ammesso nemmeno un reato (Brusca a scontato 25 anni dopo essere passato dal carcere duro alla collaborazione con la giustizia)». Il riferimento è chiaro: la possibile riforma sull’ergastolo ostativo che, imponendo il carcere a vita senza riduzioni se non collaborando con la giustizia, ha portato alla collaborazione di decine di boss di mafia, alla risoluzione di parecchi casi, soprattutto di omicidio, e all’incriminazione di famiglie di mafia, gregari e sodali.
Gratteri ha stigmatizzato anche il tentativo, con i fondi del Recovery plan, di porre in modo blando una soluzione al problema del sovraffollamento delle carceri attraverso la ristrutturazione degli istituti già esistenti e adottando per il resto misure alternative al carcere. Riforme definite come poco efficaci e descritte in poche parole dal capo della Procura di Catanzaro col titolo di un film: “A volte ritornano”. In parole povere: niente di nuovo sotto al sole. «Non dobbiamo accettare in modo supino quello che si sta progettando», ha detto Gratteri.

«Lo dimostriamo coi fatti quanto siamo performanti»

Feroce, com’è stato in altre occasioni, il commento del procuratore Gratteri circa la decisione da parte del ministero della Giustizia e del ministero per il Sud di istituire delle commissioni sulle buone prassi che guidino le Procure meridionali ad essere più performanti. «Noi lo dimostriamo coi fatti quanto siamo performanti – ha detto Gratteri riferendosi al fatto che in periodo Covid il distretto di Catanzaro è stato giudicato il più produttivo –. Noi abbiamo prodotto più di altri distretti più blasonati. Se altri hanno avuto il segno negativo come fanno a venirci a spiegare le buone prassi?».

Cosa vuole per la Calabria?

«Quando mi chiedono “cosa vuole lei per la Calabria?”, io rispondo sempre che voglio le stesse infrastrutture che ha la Lombardia, poi al resto ci pensiamo noi», ha detto il procuratore Gratteri il quale ha specificato che è necessario però un cambio di passo e di mentalità. «È necessario – ha detto rivolto alla gente in piazza – occupare di più di spazi. Vibo è la provincia a più alta densità mafiosa ma è anche quella nella quale ci sono state più indagini contro la criminalità organizzata. Si sta lavorando in grande sinergia anche con il procuratore Camillo Falvo. Il territorio è stato lavorato, arato, non lasciate vuoti gli spazi non solo per la ‘ndrangheta ma anche per i faccendieri per tutti coloro che ogni volta vengono a chiedervi voti in cambio di favori. Non li votate». E per quanto riguarda il riconoscimento a Vibo come capitale del libro secondo Gratteri è necessario oggi capitalizzare questo risultato con iniziative che vadano al di là delle presentazioni di libri a con la creazione di opere concrete, un lavoro faticoso e senza vetrina che non riesce sempre al 100%. Lo sa bene il procuratore che spesso si reca, col professore Nicaso, nelle scuole a parlare a centinaia di ragazzi, «e su cento magari ti ascoltano in 20, ma è già un risultato». Si parla di scuola, di insegnanti, quelli che in Italia sono i peggio pagati in Europa dopo la Grecia. Quelli che per la mentalità corrente sono considerati degli sfigati perché hanno stipendi sempre più bassi. Gratteri stigmatizza quelle che sono «scelte fatte negli ultimi 40 anni. E che oggi portano i ragazzi a guardare, secondo i modelli costruiti dalla società, l’insegnante come un povero sfigato e il boss ricco e potente». Ma sono falsi miti.
«È facile essere double face – afferma Gratteri – che davanti a me parla di antimafia e poi va a cena con persone che solo per puro caso non sono in prigione». Tra questi non mancano i prelati: «Anni fa c’era un vescovo che veniva a trovarmi e parlavamo di antimafia. Gli chiesi: “Ma perché andate a cena a casa di tizio?”. Mi rispose che doveva andare dalle pecorelle smarrite. Ma se uno ci va di frequente a casa di una persona poco pulita la legittima agli occhi della società». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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