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La sentenza

Usura a Lamezia, condannato l’imprenditore Caruso e ordinata una confisca per 110mila euro

Il gup ha comminato una pena a un anno e 4 mesi anche per il commercialista Muraca. A gennaio parte il processo per intralcio alla giustizia

Pubblicato il: 15/06/2021 – 19:51
di Alessia Truzzolillo
Usura a Lamezia, condannato l’imprenditore Caruso e ordinata una confisca per 110mila euro

LAMEZIA TERME Il gup di Lamezia Terme Rossella Prignani ha condannato per usura in concorso l’imprenditore Giuliano Caruso a 2 anni e 8 mesi di reclusione e 6000 euro di multa e il suo commercialista Gianfranco Antonello Muraca a un anno e 4 mesi di reclusione e 3.333 euro di multa (per Muraca sospensione condizionale della pena e non menzione nel casellario giudiziale).
Vittima del reato è stato riconosciuto Antonio Pettinato, parte civile nel processo, in favore del quale il quale il gup ha condannato gli imputati, difesi dagli avvocati Francesco Gambardella e Antonio Larussa, al risarcimento del danno, – da stabilirsi in separata sede – con riconoscimento di una provvisionale di 50mila euro.
Una condanna severa da parte di giudice considerando anche che il pm Marta Agostini in sede di requisitoria aveva invocato una condanna a 2 anni per Caruso e a un anno per Pettinato.
Il gup ha, inoltre, disposto la confisca di quanto in sequestro. Si tratta di un patrimonio di 110mila euro. Infatti, nella fase delle indagini preliminari il Tribunale, ufficio gip, di Lamezia Terme, su richiesta della Procura della Repubblica aveva disposto nei confronti dei due indagati Caruso e Muraca, il sequestro per equivalente di disponibilità finanziarie, beni mobili ed immobili fino alla concorrenza di 217mila, pari alle somme di interesse che fino a quel momento aveva corrisposto la vittima agli usurai; tale importo fu ridotto successivamente a 110mila euro dal Tribunale del Riesame.  

La vicenda

Secondo le indagini condotte dal Nucleo mobile della Guardia di finanza di Lamezia Terme, coordinata dalla Procura guidata da Salvatore Curcio, la parte offesa, rappresentata dall’avvocato Michele Gigliotti, in un momento di particolare difficoltà economica, sarebbe stata spinta a sottoscrivere un contratto di associazione in partecipazione (regolarmente registrato) con il quale accettava un apporto di capitali erogati da Caruso, per 250mila euro che si impegnava a restituire mediante il versamento di rate mensili con interessi pari al 23%. La formula del contratto di associazione sarebbe stata organizzata da Caruso con l’aiuto del suo commercialista. Secondo l’accusa, con uno strumento apparentemente lecito, sarebbe stata realizzata l’usura. Secondo il contratto stipulato tra gli indagati e la vittima, infatti, la clausola derivante era quella che prevedeva, a fronte del finanziamento, un “reddito minimo garantito” annuo di 69mila euro per sei anni, tramite rate di 5.750 euro al mese e al termine di tale periodo la restituzione dell’intero capitale. Lo strumento del contratto di associazione in partecipazione prevede, di norma che l’associato che apporta un finanziamento all’impresa come contropartita partecipi agli utili della stessa, e non “un reddito minimo garantito” come stabilito per la vittima che si veniva a trovare così praticamente sotto usura. Secondo l’accusa l’imprenditore indagato non sarebbe stato in grado, da solo, a formulare un così articolato sistema di finanziamento ed è in questo contesto che è entrato in gioco il commercialista, il quale avrebbe dato un consistente contributo alla formalizzazione del prestito usurario con la predetta formula apparentemente lecita. Resta il coraggio, caso purtroppo raro a Lamezia Terme, di un uomo che ha denunciato il caso di usura che lo affliggeva.

«Paradigma della dissimulazione usuraria»

Soddisfazione da parte del legale della parte civile il quale ritiene che trattasi «di una vicenda che può assurgere inopinatamente a paradigma della dissimulazione usuraria attraverso l’utilizzo di professionisti compiacenti. La parte civile ha, infatti, specificato che è stato superato il tasso soglia fissato trimestralmente dalla Banca d’Italia e pertanto, malgrado tentativo di nascondere l’usura attraverso un contratto di associazione in partecipazione, la persona offesa Antonio Pettinato ha dovuto subire approfittamenti usurari che hanno definitivamente decretato la cessazione dell’attività di impresa».

Intralcio alla giustizia

Questa vicenda non si conclude qui perché il 12 gennaio 2022 avrà inizio davanti al giudice monocratico il processo per intralcio alla giustizia a carico di Giuliano Caruso. Pettinato ha infatti denunciato ai finanzieri di Lamezia Terme che Caruso gli avrebbe offerto denaro per indurlo a ritrattare le accuse «ovvero – è scritto nel capo di imputazione – a dichiarare al giudice circostanze non  corrispondenti al vero». In particolare Caruso avrebbe promesso a Pettinato di annullargli il credito che riteneva di vantare nei suoi confronti per un importo di 180mila euro, di pagargli tutte le spese di viaggio che avrebbe dovuto affrontare per recarsi a Lamezia Terme a rendere testimonianza, di procurargli e pagargli un altro avvocato che si sarebbe occupato di seguire la vicenda processuale ed in cambio gli chiedeva di non costituirsi parte civile nel processo per usura e di riferire al giudice che il denaro versatogli in base al primo accordo usurario era stato scontato nel secondo contratto che avevano stipulato e di non aver mai riferito tale circostanza agli inquirenti per mera dimenticanza. Offerta che coraggiosamente Pettinato ha rifiutato.
Non riuscendo nell’intento Caruso avrebbe minacciato Pettinato «che se non avesse accettato l’offerta avrebbe avviato le necessarie azioni legali contro di lui e i suoi fratelli per ottenere il pagamento del credito asseritamente vantato nei loro confronti per un importo di 180mila euro». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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