CATANZARO Pancrazio Opipari era «in grado di parlare di dinamiche del clan» dei Gaglianesi, «di episodi implicanti la conoscenza dei relativi vertici, di progetti criminosi». Per i giudici della Corte di Cassazione, dunque, il ruolo dell’indagato nell’inchiesta Farmabusiness della Dda di Catanzaro è confermato. Il 45enne è accusato di aver fatto parte del clan dei gaglianesi oltre che di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, porto di esplosivi e tentata estorsione tutti reati aggravati dal metodo mafioso. Al giudizio della Suprema Corte si è arrivato dopo il ricorso della difesa, che ha contestato proprio l’appartenenza al clan di Catanzaro. Riguardo al coinvolgimento di Opipari nell’affare farmaceutico (l’inchiesta verte sull’infiltrazione della cosca Grande Aracri nel business), i giudici ricordano «i plurimi colloqui con Domenico Scozzafava (figura centrale nel procedimento, ndr), il summit verificatosi presso l’arenile di Sellia Marina, le rimostranze del ricorrente verso la proposta di destinarlo alla pulizia dei servizi igienici, la diretta partecipazione all’azione intimidatoria nei confronti delle dottoresse incaricate di effettuare un accertamento da cui dipendeva il rilascio delle necessarie autorizzazioni, accertamento che in precedenti occasioni aveva dato esito negativo». Lo stesso Opipari, sottoposto a intercettazione, aveva ammesso di aver fatto un «terremoto», e in un’altra conversazione parlava delle dottoresse sostenendo che «sono dei gattini adesso».
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