CATANZARO Giuseppe Spagnolo, detto “Il bandito” voleva uccidere Vincenzo Pirillo. Cataldo Marincola aveva deciso che «tutte problematiche causate a Cirò erano a attribuirsi a Cenzo Pirillo. Decise quindi di eliminarlo». Dalle parole del neo collaboratore di giustizia Nicola Acri, alias “Occhi di ghiaccio” ex boss del gruppo rossanese Acri-Morfò, si evince che l’omicidio di Vincenzo Pirillo, detto “Cenzo” – avvenuto il 5 agosto 2007 in un ristorante di Cirò Marina – rispondeva a dinamiche tutte interne alla cosca Farao-Marincola di Cirò della quale Cenzo era componente apicale: era il reggente della consorteria criminale in assenza dei capi – Silvio Farao e Cataldo Marincola – che latitavano per sfuggire a una condanna per omicidio. Le circostanze del delitto il collaboratore le ha apprese in particolare attraverso il boss Cataldo Marincola con il quale a luglio e agosto del 2007 Nicola Acri condivide una latitanza. Tutto quello che “Occhi di ghiaccio” ricorda lo ha riversato in verbali alla Dda di Catanzaro che sono stati depositati, dal sostituto procuratore della Dda Domenico Guarascio, agli atti del processo con rito abbreviato per l’omicidio di Vincenzo Pirillo.
A trovarsi a processo per il terribile agguato – che quasi costò la vita a una bambina di 11 anni, che si trovava nel ristorante sulle ginocchia di Pirillo e venne trapassata da un proiettile all’altezza della scapola sinistra, e ad altri cinque avventori che rimasero feriti – ci sono Silvio Farao (72 anni) e Cataldo Marincola (58), accusati dalla Dda di essere stati i mandanti del delitto, rinviati a giudizio e a processo col rito ordinario. Hanno scelto il rito abbreviato Giuseppe Farao (73 anni, fratello di Silvio) e Giuseppe Spagnolo (51 anni) detto “U banditu”, al quale gli inquirenti contestano di essere stato tra gli esecutori dell’agguato. Ma il gruppo armato che fece irruzione nel locale era composto, stando alle indagini, da almeno 5 persone, allo stato ignote. Ma Nicola Acri, oggi, fa anche un nome nuovo, quello di Gaetano Aloe. Ma procediamo con ordine.
«Ci siamo spostati diverse volte – racconta Acri riferendosi alla latitanza –, siamo stati in un agriturismo a Rossano posto tra Rossano e Paludi, di proprietà di Giovanni Luzzi, a Papanice, e anche al villaggio Valtur di Isola Capo Rizzuto. Ricordo che durante quella latitanza Cataldo incontrava tutti gli esponenti più importanti delle famiglie del Crotonese fra cui i Megna, i marcedusani, i Trapasso e gli Arena». In quei momenti di condivisione, dice “Occhi di giaccio”, Cataldo Marincola si era confidato con lui, lamentandosi, per esempio, «del comportamento di Natale Bruno che, reggente della cosca, faceva arrivare alla moglie soltanto 800 euro al mese». «Ricordo che si lamentò con me del fatto che Pirillo, per ucciderlo (a Natale Bruno, ndr), avesse utilizzato i cognati di Sergio Iazzolini in piena faida».
Non solo. Cataldo Marincola si faceva spiegare da Acri «le lamentele che Pirillo portava agli Abbruzzese, ascoltando da me il fatto che gli zingari si erano sempre comportati bene con i cirotani». Dopo diverse conversazioni, Marincola decise di eliminare Cenzo Pirillo. Nel periodo di latitanza incontrò i suoi uomini, in particolare quelli a lui più vicini: Gino Vasamì e Ciccio Castellano. «Con loro parlò direttamente della necessità di eliminare Pirillo», afferma Nicola Acri. Uno dei fedelissimi del boss Marincola era Salvatore Siena, un soggetto «poco attenzionato dalle forze dell’ordine, nel senso che erano in pochi a sapere del suo stretto legame con Cataldo Marincola. Fu proprio attraverso Siena che Marincola, racconta il collaboratore, «mandò l’imbasciata a Peppe Spagnolo affinché quest’ultimo provvedesse all’eliminazione di Pirillo».
Cataldo Marincola scalpitava, si lamentava con Salvatore Siena che Spagnolo “Il bandito” tardasse a portare a compimento l’omicidio e voleva che a occuparsi della cosa fossero Peppe Spagnolo insieme ai cognati Martino Cariati e Gaetano Aloe. «In una prima fase – racconta Acri – Marino Cariati aveva proposto di avvelenare Pirillo», anche perché Pirillo si recava a casa di Cariati e questo rendeva agevole svolgere il piano.
Ma Cataldo Marincola rifiutò il progetto del veleno: «Informò Siena – racconta Acri – che l’ordine omicidiario era serio e doveva essere eclatante ossia un agguato vero e proprio».
Addirittura Marincola, dato che la cosa tardava ad andare in porto, propose allo stesso Nicola Acri, che accettò, di fare l’agguato insieme a lui.
Dal villaggio Valtur di Isola le strade di Cataldo Marincola e Nicola Acri si separano. Cataldo va in un altro Valtur «nella zona di Botricello» per trascorrere un periodo con la famiglia e Nicola Acri, che non voleva più dare fastidio agli Arena, decide di spostarsi a Camigliatello Silano. È qui che apprende dai giornali che Pirillo era stato assassinato. «Dopo l’omicidio anche Cataldo Marincola si trasferì in Sila a Camigliatello da me a trascorrere la latitanza. Ricordo che Cataldo mi disse che Gaetano Aloe aveva combinato un casino in quanto aveva sparato anche una bambina. Non mi fornì ulteriori particolari sugli altri esecutori materiali dell’omicidio», racconta Nicola Acri.
Secondo Nicola Acri i fratelli Farao, Silvio e Giuseppe, erano a conoscenza della «necessità di ammazzare Pirillo e della volontà di Cataldo di procedere a tale eliminazione. Lo sapevano, non si opposero e avallarono questa decisione che venne loro comunicata tramite Ciccio Castellano».
Tra l’altro Silvio Farao si era buttato latitante dopo Cataldo Marincola e si era nascosto a Mandatoriccio. Silvio Farao non incrociò mai la latitanza di Marincola ma sarebbe comunque riuscito a comunicare con lui.
Cataldo Aloisio era nipote di Cenzo Pirillo e aveva sposato la figlia di Giuseppe Farao. Venne ucciso un anno dopo lo zio, a Legnano, e il suo corpo venne gettato davanti al cimitero della città. Un scelta non casuale: «nel gergo ‘ndranghetistico significa punire chi ha commesso un grave affronto», dice Nicola Acri che ha appreso ogni cosa da uno dei fratelli Trapasso il quale era stato incaricato di uccidere anche il fratello di Aloisio. Trapasso racconta ad Acri che a decretare la morte di Cataldo Aloisio erano stati Silvio Farao, Cataldo Marincola e Cenzo Rispoli. La necessità stava nel fatto che Aloisio avrebbe voluto vendicare lo zio e si era messo d’accordo con qualcuno della polizia o dei carabinieri per fare arrestare Farao e Marincola mentre lui stesso voleva uccidere Ciccio Castellano.
Ma prima ancora che avvenisse il terribile fatto di sangue che portò all’uccisione di Cenzo Pirillo c’è un prologo importante che Nicola Acri racconta. Prima della latitanza, nel 2006 Nicola Acri era stato in carcere. La sua cosca era «un tutt’uno con i cirotani» ma già in prigione “Occhi di ghiaccio” viene a conoscenza di strani movimenti: Cenzo Pirillo, il reggente dei cirotani, si era messo a spacciare con i Forastefano «in guerra con la mia cosca» e con gli zingari di Cassano. Inoltre proprio uno dei vertici della cosca, Peppe Spagnolo detto “Il bandito”, si era rifiutato di fornire un alibi ad Acri per un tentato omicidio. Inoltre Cenzo Pirillo e Natale Bruno, elementi apicali dei cirotani, erano andati da due accoscati di Nicola Acri per chiedere un fucile per uccidere proprio Peppe Spagnolo. Come se non bastasse, da una intercettazione viene fuori che Peppe Spagnolo e il cognato Martino Cariati si erano accordati per uccidere Nicola Acri. Gli equilibri tra le cosche sono pericolosamente in bilico tanto che, quando esce dal carcere, Acri incontra Spagnolo e Cariati i quali gli dicono che non voglio avere più niente a che fare con gli Abbruzzese e che le cose erano cambiate perché erano diventati amici con i Forastefano.
Nicola Acri dopo l’uscita di prigione incontra anche Vincenzo Pirillo. Pirillo gli parla male di Peppe Spagnolo: è convinto che Spagnolo stia aizzando contro di lui il cognato Gaetano Aloe per vendicare l’omicidio del padre Nick Aloe «e siccome l’uccisione di Nick Aloe venne fatta anche grazie all’intervento di Pirillo, quale decisione interna alla cosca», Pirillo aveva paura che Gaetano Aloe potesse attentare alla sua vita.
Pirillo racconta ad Acri di avere fatto fuori Damiano Mezzorotolo – un uomo portato avanti da Spagnolo – perché Mezzorotolo voleva uccidere e spodestare il boss di Cariati, Giorgio Greco. Non solo. Dalla cosca dei Papaniciari Acri apprende che i vertici dei cirotani che in quel periodo erano liberi – ovvero Spagnolo e Pirillo – «non si comportavano bene nemmeno con gli alleati crotonesi» e che in ordine alle faide – Arena-Megna -Dragone da un lato e Grande Aracri-Nicoscia-Russelli dall’altro – si mostravano ambigui. Acri viene a sapere che Pirillo, tramite un “traggiro”, aveva ucciso Natale Bruno facendogli credere che quello da eliminare era Peppe Spagnolo. Un omicidio strano perché affidato a killer non cirotani, ovvero ai cognati di Sergio Iazzolini, dei marcedusani, più vicini ai Grande Aracri-Nicoscia che ai cirotani.
Dalla cosca Trapasso – che aveva spie all’interno delle forze dell’ordine – Nicola Acri viene a sapere che i cirotani erano attenzionati e dalle intercettazioni si capiva che Vincenzo Pirillo voleva uccidere Peppe Spagnolo. Lo stesso Pirillo confida ad Acri di volere uccidere Spagnolo e di avere avuto la benedizione dei fratelli Farao.
Quando esce dal carcere Cataldo Marincola decide di convocare una riunione a Cirò superiore. Ci sono Luca Megna, Pino Arena, Frabrizio Arena, Giovanni Trapasso, Nicola Acri, Cenzo Pirillo e Giuseppe Farao. Cataldo Marincola cercava di gestire gli equilibri tra le cosche e ascoltò i fatti dell’allontanamento degli zingari, della vicinanza ai Forastefano, dell’utilizzo dei marcedusani per l’omicidio di Natale Bruno, e della mancanza di chiarezza dei cirotani nell’appoggiare Arena e Trapasso nella faida coi cutresi. Si parlò di fare pace con i Grande Aracri e i Nicoscia. Una possibilità che le famiglie decisero di considerare. Ma la faida più subdola stava covando all’interno della stessa cosca dei Farao-Marincola. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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