La scelta del Governo, così come ufficializzata dalla vice ministra Mef Laura Castelli, per avviare a concretezza il finanziamento del sistema delle autonomie locali, è iniziato non propriamente nel migliore dei modi. Deciso in gran parte con modalità difformi da quelle attuative del federalismo fiscale, per come evoluto in termini di servizi pubblici e prestazioni essenziali da finanziare, e dimostrativo della volontà di confermare affidamento al sistema di rilevazione sancito dal d.lgs. 216/2010, basato sull’invio di quei questionari che hanno registrato sino ad oggi mega-flop. Al riguardo, è sufficiente prendere atto della non bastevolezza dei fondi attribuiti annualmente ai comuni per garantire loro il corretto esercizio delle funzioni fondamentali per rendersi conto dell’inadeguatezza del criterio utilizzato, non affatto corrispondente alle reali necessità economiche funzionali al soddisfacimento delle esigenze primarie delle comunità interessate.
Un colposo rinvio e l’inadeguatezza delle rilevazioni
Quanto stabilito, riconferma l’abitudine della politica a ricorrere alla distribuzione di prebende pubbliche per attenuare la voce del comune dissenso in materia, che è arrivata ad essere urlata nella terribile pandemia che ha afflitto la nazione intera, specie quella più debole lasciata da sola a patire.
Relativamente al ruolo e all’efficacia delle rilevazioni mediante questionari, mancano nelle amministrazioni locali la cultura, la coscienza e gli strumenti necessari, in primis la contabilità analitica, per contribuire seriamente alla rilevazione dei fabbisogni da soddisfare. Basti pensare che siffatti limiti non hanno fatto rilevare sino ad oggi persino il fabbisogno epidemiologico indispensabile per programmare la salute della collettività, perfezionata «ad orecchio».
Regna la confusione su cosa sia il welfare assistenziale e su come vada finanziato
Con riferimento ai fabbisogni standard riferibili agli enti locali, a tutte le iniziative intraprese dal 2010 in poi (si badi bene, sono trascorsi 10 anni!) ne è conseguito il nulla assoluto, tant’è che nella nota conclusiva dei lavori della Commissione tecnica per i fabbisogni standard del Mef del 16 giugno scorso, ci si è limitati a decidere la mera ripartizione di quanto assegnato con il comma 792 legge di bilancio 2021, anch’esso figlio della trascuratezza rimediale che si regala da oltre un decennio all’assistenza delle persone. In essa, infatti, si fa esplicito cenno a processi di revisione dei valori dei coefficienti di riparto quantificati, quali fabbisogni aggiuntivi per servizi sociali, in coerenza con la “nuova” metodologia (quale?). Così non deve essere.
L’intervenuto incremento dei Lea, a cura della commistione in essi dei livelli essenziali di assistenza sociale (i cosiddetti Liveas), comporta che le funzioni fondamentali, di cui alla lettera g) dell’art. 21 della legge 42/2009, attribuite ai Comuni afferenti al settore sociale – da considerarsi nettamente al di là di quelle individuate nella precedente lettera c) comprendenti, tra l’altro, i servizi per gli asili nido (cui la nota del viceministro fa esplicito riferimento) – esige un diverso trattamento finanziario. Non già determinato con il fabbisogno di tipo quantitativo – ovverosia monetario, nel senso della sua determinazione economica ottenuta (si fa per dire!) dagli esiti dei menzionati questionari – bensì attraverso il binomio costo-fabbisogno standard qualitativo. Un criterio, quest’ultimo, con il quale adeguare a realtà godibile il costo standard, preventivamente e scientificamente determinato per prestazioni da erogare sulla base dell’età dei destinatari delle stesse, che sarebbero da ottimizzare in relazione agli indici di deprivazione socio-economica, che costituiscono le vere cause di necessità dell’intervento del welfare assistenziale. In quanto tali assistite dalla perequazione al 100%, intendendo per tale il concorso dello Stato sino al raggiungimento del budget della relativa spesa presuntivamente determinato, altrimenti non autonomamente sostenibile con il gettito locale di riferimento.
La perequazione è la garanzia reale
In buona sostanza, utilizzando le procedure vigenti dal 2010/2011, cui non si è fatto irresponsabilmente ricorso sino ad oggi neppure per la sanità, si sarebbero dovuti finanziare i Lea secondo il fabbisogno attualizzato «per i territori con minore capacità fiscale per abitante (art. 119, comma 4, Cost.)». Una regola ineludibile anche per l’assistenza sociale dal momento che i suoi livelli di assistenza specifica sono in essi confluiti e quindi assolutamente compresi.
Occorrono le soluzioni sistemiche
Concludendo, sarebbe davvero un bel guaio se la politica continuasse a ragionare e decidere in modo inverso. A proposito, basti pensare ai guai sopportati durante il Covid 19 dall’assoluta assenza della dovuta assistenza sociale ai disabili e agli anziani, assistenza domiciliare e persino quella assicurata ai ricoverati nelle Rsa. L’attuale errore di ipotesi di metodologia del finanziamento sarebbe peraltro funzionale a stravolgere tutti gli sforzi fin qui impiegati per generare, finalmente, l’integrazione sociosanitaria, senza la quale tutto andrà sempre peggio. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum, soprattutto verso i bisognosi dei servizi sociali, tanto da mettere in pericolo la loro esistenza in vita.
*docente Unical
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