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«La cosca aveva preso il posto dello Stato». I «legami “opachi”» tra clan Bagalà e divise “sporche”

Dalle carte dell’inchiesta Alibante emerge il «clima di impunità» nel Medio Tirreno: vacanze gratis e affitti in nero in cambio dei “favori”

Pubblicato il: 26/06/2021 – 7:08
di Pablo Petrasso
«La cosca aveva preso il posto dello Stato». I «legami “opachi”» tra clan Bagalà e divise “sporche”

LAMEZIA TERME La politica, con il tentativo di controllare le amministrazioni comunali di Nocera Terinese e Falerna. Le imprese, con le mire sui villagi turistici. E anche informazioni. Un patrimonio di conoscenze indispensabile per il clan Bagalà, che aveva esteso la propria influenza nell’area del Medio Tirreno catanzarese. La maxi informativa redatta dai carabinieri e allegata agli atti dell’inchiesta Alibante della Dda di Catanzaro dedica un ampio capitolo agli «“opachi” legami» e alle «connivenze tra diversi appartenenti alle forze dell’ordine e membri della cosca». 

«Clan subentrato allo Stato»

Gli investigatori parlano di relazioni «tuttora in essere» emerse sia dalle intercettazioni che dalla «consultazione e dall’analisi di atti». Questi rapporti, in certi casi, sarebbero risalenti addirittura «gli anni 80» e, dunque, così radicati da giustificare «il clima (riscontrato dalle indagini) di apparente impunità grazie alla quale il sodalizio si era sviluppato e aveva imperversato in quell’area». 

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Carmelo Bagalà

Le valutazioni contenute negli atti sono molto pesanti: la «trasversalità di tali relazioni (erano coinvolti carabinieri, finanzieri e agenti della polizia penitenziaria) rendeva ancor più inquietante e preoccupante il quadro delineato e, purtroppo, confermava quanto il sodalizio fosse, di fatto, subentrato allo Stato anche attraverso l’inerzia e il “disinteresse” degli organi preposti a tutelare il bene comune e reprimere le forme di sopraffazione e illegalità rappresentate dalle compagini criminali come quella del Bagalà».

Le “divise sporche” vicine al boss

Il boss Carmelo Bagalà era il primo a beneficiare di questi «opachi legami». I militari avrebbero, infatti, «documentati i rapporti con un agente della polizia penitenziaria» che gli avrebbe fornito, «in diverse occasioni, informazioni di interesse», come la denuncia di un’estorsione a suo carico. Non è tutto: Bagalà avrebbe comunicato anche con un militare dell’Arma in congedo, «originario di Nocera Terinese. che chiedeva “agevolazioni” al boss rammentandogli il suo comportamento compiacente negli anni». Questo militare sarebbe un parente del boss. Ci sono anche rapporti che Bagalà sbandiera nel corso delle sue telefonate: spiega, infatti, di vantare di «amicizie e “crediti” con diversi militari dell’Arma e della guardia di finanza che in passato avevano prestato servizio nella zona». Gli investigatori segnalano, a tal proposito, alcuni «riscontri» su tre membri delle forse dell’ordine. I più circostanziati sono su un quarto militare, Francesco Cardamone, all’epoca delle indagini in servizio nella stazione Carabinieri di Sant’Eufemia, arrestato nel blitz dell’antimafia del capoluogo. 

Soldi, vacanze e affitti: la rete di Macchione

Anche Vittorio Macchione, uno degli indagati chiave dell’inchiesta, avrebbe avuto «solidi e discutibili legami con un tenente colonnello della guardia di finanza in passato in servizio a Lamezia Terme». Il militare «ne avrebbe favorito gli illeciti in cambio di benefici economici» come «dazioni in denaro, vacanze, pagamento di affitti». Il legame tra i due  sarebbe stato «compiutamente documentato dall’attività tecnica e riscontrato anche dalle dichiarazioni di un imprenditore vittima di un’estorsione da parte della consorteria».
Macchione (che avrebbe utilizzato «con compiti di guardiania nelle sue strutture un ex militare della GdF e un ex sottufficiale dei carabinieri») avrebbe avuto un «analogo rapporto» con un ex poliziotto della Questura di Genova «originario del Cosentino e proprietario di un appartamento presso una delle strutture turistiche riconducibili all’indagato». Ed «elementi di “criticità” si riscontravano – scrivono ancora gli investigatori – anche su appartenenti all’Arma dei carabinieri in relazione ai loro rapporti» con l’imprenditore considerato vicino al clan. «In un caso – riporta l’informativa un militare della Stazione carabinieri di Nocera Terinese alloggiava in un appartamento riconducibile a Macchione corrispondendo un canone di locazione “in nero” e in un altro caso un graduato aveva acquistato la propria unità abitativa» dall’indagato.
Ancora una volta, la sintesi sul comportamento delle forze dell’ordine è netta: i carabinieri parlano di un’«azione eccessivamente “tollerante” nei confronti degli appartenenti alla cosca (…) tanto da alimentare dubbi anche in seno alla popolazione». Un strappo nella fiducia che sarebbe apparso evidente nel corso delle indagini che hanno portato all’arresto del boss, dei suoi sodali e di alcuni imprenditori e politici di riferimento della ‘ndrina che era «subentrata allo Stato». (p.petrasso@corrierecal.it)

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