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la sentenza

‘Ndrangheta, estorsioni a Nicotera e al tabaccaio Zappia: una condanna e due assoluzioni

Il Tribunale di Vibo ha condannato a 10 anni e 6 mesi il presunto boss, Antonio Mancuso di Limbadi. Assolti Campisi e D’Ambrosio

Pubblicato il: 29/06/2021 – 7:31
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, estorsioni a Nicotera e al tabaccaio Zappia: una condanna e due assoluzioni

VIBO VALENTIA Si conclude con una condanna e due assoluzioni il primo atto del processo nato dall’inchiesta “Maqlub, l’operazione coordinata dalla Dda di Catanzaro con la quale vennero arrestati il 18 luglio 2019 gli aguzzini di una serie di imprenditori del Vibonese, tra cui il tabaccaio Carmine Zappia. Tra i fermati anche l’anziano boss della ‘ndrangheta vibonese, Antonio Mancuso (cl. ’38).

Condannato il boss Mancuso

Il Tribunale collegiale di Vibo Valentia, presieduto da Tiziana Macrì, con i giudici Emilia Conforti e Francesca Loffredo, hanno condannato Antonio Mancuso alla pena di 10 anni e 6 mesi di reclusione (oltre al pagamento di 4mila euro di spese processuali). Sono stati invece assolti per non aver commesso il fatto gli altri due imputati, Andrea Campisi (cl. ’82) e Francesco D’Ambrosio (cl. 80).  Antonio Mancuso, nato a Limbadi ma residente a Nicotera, è stato anche condannato al risarcimento del danno cagionato alle parti civili ovvero Carmine Zappia, Giulia e Antonio Zappia, oltre alla Provincia di Vibo Valentia e la Regione Calabria. 

L’operazione “Maqlub” e l’incubo di Zappia

L’operazione “Maqlub” (in arabo “ribaltamento”) è nato dai presunti atti vessatori subiti e poi denunciati da Carmine Zappia, gestore di un tabacchino in via Foschea a Nicotera, vittima di una fitta rete di usura ed estorsioni messa in atto dal potente clan Mancuso. L’incubo dell’imprenditore sarebbe iniziato nel lontano maggio del 2011: l’uomo acquistò un immobile, composto da due piani fuori terra a Nicotera, per la cifra di 400mila euro. Metà dell’importo venne consegnato immediatamente mentre per la restante quota si stabilì che venisse erogata periodicamente, senza fissare dei termini temporali e quantitativi. Perfezionata la compravendita e pagata la prima parte, gli ex proprietari avrebbero però iniziato ad avanzare in maniera sempre più minatoria e perentoria le richieste di consegna del denaro, fino ad arrivare a rivolgersi addirittura a persone vicine ad Antonio Mancuso, così che potessero incassare quanto pattuito. Le richieste si sarebbe fatte sempre più pressanti fino a quando all’imprenditore non sarebbe stato comunicato che Antonio Mancuso aveva rilevato lui il credito e che i soldi avrebbero dovuti essere dunque corrisposti proprio a quest’ultimo.

A difendere Andrea Campisi era l’avvocato Giuseppe Grande; Francesco D’Ambrosio dagli avvocati Francesco Sabatino e Antonio Cosentino. Antonio Mancuso, invece, era difeso dall’avvocato Giuseppe Di Renzo che ha già annunciato l’intenzione di impugnare la sentenza. Le parti civili erano assistite dall’avvocato Giovanna Fronte.

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