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La denuncia

Demma: «Al Parco di Sibari c’è un’emergenza legalità»

Il direttore del Parco racconta i tanti problemi che affliggono la gestione dell’area archeologica: «Lavoro più con le forze dell’ordine che con i colleghi del ministero della Cultura»

Pubblicato il: 30/06/2021 – 22:13
Demma: «Al Parco di Sibari c’è un’emergenza legalità»

CASSANO ALLO IONIO «Sibari ha una serie di problemi importanti collegati alla sicurezza, al punto che nei primi mesi di lavoro – che è effettivamente cominciato solo alla metà di febbraio – qui ho lavorato più quasi con carabinieri e ministero dell’Interno che con i colleghi del Ministero della Cultura». Così Filippo Demma, archeologo napoletano del 1971, che dall’autunno del 2020 dirige il Parco archeologico di Sibari racconta a La Repubblica le sue difficoltà nel gestire quella che fu una delle città più importanti della Magna Graecia. Nella sua lunga intervista rilasciata al quotidiano diretto da Maurizio Molinari, Demma – che è un noto archeologo oltre che docente in materia – denuncia carenze di personale ma soprattutto la sua battaglia contro lato oscuro della regione: i clan e il malaffare diffuso. In primis, in questo senso significa l’abusivismo e l’occupazione illecita della aree di pregio. Su questo fronte, Demma sottolinea occorre «creare una coscienza civica».

«Sibari tra il VII e VI a.C dominava il Mediterraneo occidentale»

Il direttore del Parco archeologico ricorda quella che è stata la storia di quest’area: «Nel VII e VI secolo a.C. la città – spiega Demma – controllò quello che per l’epoca possiamo considerare un vero e proprio impero nel mediterraneo occidentale: il suo territorio copriva quello che corrisponde oggi a buona parte della provincia meridionale di Salerno e quella settentrionale di Cosenza, e il lembo più occidentale di quella di Matera, da Poseidonia (poi Paestum) a Metaponto». Di quella lunga storia, Demma segnala che ora «Chi visita il sito vede prevalentemente le strutture della antica città di Copia, alcune delle quali però appartengono alla città precedente: i selciati, le strade molto larghe e qualche struttura sotto le domus romane appartengono alla greca Thuri e furono riusate dai romani».

«Prostituzione, furti e microcriminalità diffusa»

Ma sono i problemi legati alle gestione di quest’area che preoccupano di più il direttore. Ad iniziare alle difficoltà con un sistema di illegalità diffusa. Ed entra nel dettaglio di questi problemi legati anche all’estensione dell’area archeologica di cinquanta di ettari. E deve fare i conti con diversi punti di accesso alla zona “più delicata” che moltiplicano i problemi: «Tra microcriminalità, prostituzione, furti e un’alta permeabilità criminale la sicurezza ne risente non poco». «La polizia – spiega ancora a Repubblica – ha documentato come si pratichi prostituzione anche in casotti e ricoveri di fortuna all’interno di zone archeologiche».
E poi ci sono i problemi di carattere strutturale. «Dal punto di vista idrogeologico – spiega Demma – l’altezza della falda acquifera ed il fenomeno della subsidenza ci obbliga a tenere in funzione 24 ore su 24 ben sette pompe-well point per tenere all’asciutto il sito, e questi impianti in passato hanno subito danneggiamenti forse di origine dolosa». Dunque anche qui Demma segnala il pesante giogo dell’illegalità diffusa che ha depredato «impianti elettrici, termosifoni, infissi, perfino interruttori della luce» delle pertinenze del parco. Questo «a causa di un mix di misure di sorveglianza insufficienti – racconta ancora Demma – e per una criminalità diffusa e impunita che ha completamente spogliato l’edificio».

«Solo tre concessionari su 24 in regola»

Ma la pressione del malaffare non si ferma qui. Ai danneggiamenti si sommano anche casi di vero e proprio abuso. Demma racconta di quei «duecento ettari assegnati al parco archeologico di Sibari» e che sono state in affitto negli anni. «Ebbene, solo tre dei 24 concessionari sono in regola con i canoni – racconta – pare addirittura che qualcuno abbia falsificato la documentazione per ottenere contributi europei. La dirigente del Polo museale calabrese Antonella Cuciniello, precedentemente responsabile del sito, aveva collaborato con le indagini dei carabinieri e intimato lo sfratto un anno fa ma le terre sono ancora occupate». A farla da padrone uomini legati alla ‘ndrangheta. Sul futuro Demma ha un progetto: «Il Parco autonomo dovrà ora gestire queste terre in modo diverso. Immagino di coinvolgere il terzo settore, associazioni e cooperative impegnate altrove nella gestione di beni sottratti alla criminalità, che ci aiutino anche a diffondere la cultura della legalità, con iniziative didattiche, con un’azione a tutti gli effetti culturale sul territorio».
La sua è una battaglia per il ripristino della legalità, dunque. Tanto da fargli dire: «Il punto imprescindibile è questo: in un territorio gravato da problemi di diffusa illegalità e funzionamenti mafiosi bisogna lavorare per ripristinare la legalità non solo con azioni di polizia, ma anche lavorando – con calma e pazienza – a creare coscienza civica, e questo è un processo culturale a tutti gli effetti del quale la principale istituzione culturale del territorio non può non farsi carico. E in questa battaglia non siamo soli». «Lavoriamo di concerto con Prefettura di Cosenza – aggiunge a La Repubblica – in stretta collaborazione con le forze di polizia, in particolare con il Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale della Calabria, comandato dal capitano Taglietti, e con tutte le forze di polizia. E abbiamo naturalmente il sostegno del Comune di Cassano e della Diocesi».

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